IL FASCINO DEL SAHARA


Di buon mattino, partiamo alla volta di Ghadames. Dobbiamo raggiungere la nostra meta entro sera e lungo la strada abbiamo una tappa importante: l’antica città di Sabratha. Subito ai margini del centro urbano di Tripoli, lungo l’importante arteria di collegamento percorsa, notiamo un’abbondante presenza di rifiuti. Purtroppo questa sarà una costante delle periferie urbane da noi attraversate. Arriviamo dopo 1 ora circa. Come la stragrande maggioranza dei siti archeologici, il prezzo del biglietto è di 3 Dinari ciascuno, se si desidera fotografare ci vogliono altri 3 Dinari. Data l’importanza e la vastità dell’area da visitare, ingaggiamo per 40 Dinari una guida, che ci accompagnerà nella zona archeologica. Resti di diversi complessi termali, di templi, colonnati, qualche vestigia punico-fenicia. Interessante, certo, ma sinceramente mi aspettavo qualche cosa di più. Eccezionale invece il teatro, nonostante abbia subito un’opera di restauro particolarmente intensa, regala un impatto d’effetto, grazie alla sua imponenza, con i tre ordini di colonne corinzie che si ergono per oltre 20 metri dietro il palcoscenico. Era il teatro romano più grande dell’Africa, a testimonianza dell’importanza che ricopriva la città di Sabratha. Abbiamo visitato anche il museo annesso agli scavi (ingresso altri 3 Dinari), il quale custodisce solo reperti trovati nel corso degli scavi condotti nella zona, tra cui i grandi mosaici che adornavano la basilica di Giustiniano. Al momento gli scavi sono sospesi, anche se è stato stimato che una buona metà della città giace ancora sotto la sabbia. Al termine della visita ripartiamo e dopo circa 3 ore di strada arriviamo a Nalut, cittadina famosa per ospitare nei suoi pressi un antico granaio berbero fortificato. Scendiamo dal nostro veicolo, un forte vento gelido ci accoglie. Paghiamo l’esiguo biglietto d’ingresso ai guardiani, i quali molto gentili, ci accompagnano nella visita di questo strano sito. Il luogo è molto ben conservato, girando nelle strette viuzze del complesso, si possono vedere uno accanto all’altro le anguste stanzette dove era custodito il grano, l’olio ecc. Sono rimasti gli otri, i contenitori in terracotta, alcuni interrati, altri più evidenti. In alcuni ambienti sono esposti anche gli utensili utilizzati dalla comunità agricola, rudimentali falci, zappe, mortai, basti ecc. Data la bizzarria di come le stanze spuntano dalla struttura di malta, la tortuosità delle viuzze sopra le quali di tanto in tanto si affacciano anche dei minuscoli balconcini, la costruzione, nel suo insieme sembra quasi un alveare, oppure una città fantastica, abitata da gnomi. Abbiamo avuto modo di vedere anche una piccolissima e antica moschea, sempre costruita con mattoni di fango, e un interessantissimo frantoio ancora attrezzato, con le giare dove si lasciava decantare l’olio, le pietre da macina il meccanismo in legno che consentiva alla forza sviluppata dall’animale destinato al traino, di produrre il movimento che azionava la macina. E’ stata una tappa veramente apprezzata da tutti noi. Peccato per il freddo pungente, che non ci ha certo invogliato ad indugiare un po’ di più in questo strano luogo. Ripartiamo e raggiungiamo Ghadames, dove ci congediamo con l’autista ed il pullmino utilizzato fino ad ora e facciamo conoscenza con le guide che ci condurranno per i prossimi dieci giorni a bordo di fuoristrada nella parte più meridionale del nostro tour: verso il deserto. Il centro abitato di Ghadames è veramente squallido, caseggiati disposti alla rinfusa lungo le strade, la mancanza del più elementare senso urbanistico e l’incuria di quelli che sono gli spazi comuni, rendono questa città veramente triste. Oramai è buio, alcuni di noi raggiungono il posto telefonico dove chiamare casa. Per alcuni giorni, poi, non sarebbe più stato possibile. Il costo delle telefonate in tutta la Libia si aggira intorno ai 3-4 dinari ogni paio di minuti di conversazione. Cena piuttosto mediocre in un piccolo locale dal nome “Sahnon Restaurant”. Spendiamo complessivamente 80 Dinari. La notte la passiamo sistemati in stanze, messeci a disposizione presso una casa privata (costo 15 Dinari a testa). Il livello di pulizia lascia molto a desiderare.

Lunedì 17/03/2003:
Inizia la giornata con la visita della città vecchia di Ghadames. Il biglietto d’ingresso costa 5 Dinari a persona. Prendiamo contatto anche una guida che ci accompagni e ci descriva ciò che incontreremo. Il suo ingaggio è di 50 Dinari. Se Ghadames nuova mi ha deluso per il suo squallore, Ghadames vecchia mia ha incantato per il suo fascino. Per buona parte l’antico centro è cinto da mura. Alla fine della nostra visita ho guardato a queste mura come si guarda un baluardo amico, un abbraccio protettivo che divide il mondo di queste affascinanti architetture da “mille e una notte”, dall’abbrutimento senza regole del nuovo cemento. Questa Ghadames è un dedalo di strette, bianche viuzze, che si insinuano tra quelle che erano le antiche abitazioni di queste genti. Ogni via resta per buona parte coperta al cielo, sfruttando archi, sottopassi e in genere la struttura stessa delle case. Questo accorgimento, oltre a quello per il quale le vie hanno una larghezza molto limitata, erano principi studiati ad arte per ottenere più riparo possibile dal sole, cocente per molti mesi all’anno. Altro elemento che sottolinea la maestria con la quale queste strutture urbane sono state concepite, è il fatto che il dedalo di stradine di cui Ghadames è formata, sono disposte in modo tale da permettere un continuo ricambio d’aria, sfruttando oltre il naturale favore dei venti, anche degli appositi sifoni creati per facilitare la ventilazione nei punti più difficili. Lungo ogni via per buona parte si snodano sedili di muratura, anch’essi bianchi, dove le persone potevano sostare e trattenersi. Di tanto in tanto piccoli slarghi, piazzette dalle piante irregolari, con gli immancabili sedili, con le mura bianche dove qua e là sono scavate delle nicchie create per ospitare le lampade ad olio. Alcune di queste case sono aperte, è possibile visitarle. Abbiamo visitato l’interno di una di queste abitazioni. Molto caratteristica, con diverse stanze, tappeti, dipinta tutta di bianco con decorazioni molto particolari, specie di arabeschi con predominanza del colore rosso. Altra sbalorditiva caratteristica di Ghadames è che attraverso i tetti è possibile andare da un capo all’altro della città, e le case confinanti sono tutte comunicanti, attraverso delle brevi scale che portano a cortiletti pensili. Dai tetti delle case è poi possibile godere favolosi panorami, sui verdeggianti palmizi che circondano la città. Altro dettaglio singolare di queste architetture è che ciascuno degli angoli posti sulla sommità delle abitazioni, terminano con punte triangolari e questo rende ancora più fiabesche le vedute della città dai tetti. Ghadames è patrimonio dell’Unesco e le attività di manutenzione sono particolarmente attive, specialmente in quelle parti della città ove i segni del tempo e, purtroppo, anche della seconda guerra mondiale hanno lasciato traccia. Altra caratteristica che ricordo con estremo piacere sono le stradine che conducono fuori dal “centro”. Queste, delimitate da muri alti 2-3 metri in malta, hanno solo la parte terminale dipinta di bianco, con motivi traforati a forma di triangolo. Quanto è piacevole percorrere queste viuzze dal corso irregolare, e vedere in alto, oltre i muri, le chiome delle palme, e più in alto l’azzurro terso e schietto del cielo. E’ stata una visita meravigliosa, ben condotta dalla nostra preparatissima guida locale.
Saliamo sulle 4x4, ma prima di partire sostiamo al mercato dove facciamo scorta di acqua, pane, frutta e verdura, sufficiente per circa quattro giorni, cioè tanto quanto staremo lontani da qualsiasi centro abitato. Le bottiglie d’acqua da 1,5 litri costano da 0,80 a 1 dinaro l’una. Un chilo di arance costa 1 dinaro. La verdura costa piuttosto poco, se con 12 dinari abbiamo acquistato una buona quantità di pomodori, zucchine, cipolle e patate. Abbiamo, poi, constatato che l’ordine di grandezza dei prezzi è più o meno lo stesso in tutta la Libia. Il pane ha un prezzo politico, incredibilmente basso. Con pochi spiccioli si comprano un sacco di baguettes, che tra l’altro sono davvero squisite, profumate, saporite, croccanti all’esterno e morbide all’interno, una vera delizia, tant’è che qualcuno, me compreso, le sgranocchiava così, senza companatico. Per quanto riguarda gli altri generi alimentari di base, tipo pasta, insaccati, formaggi e condimenti vari, ce ne è una buona scorta partita dall’Italia.
Oramai è primo pomeriggio quando partiamo, abbandonando il centro abitato. Quasi subito lasciamo il nastro d’asfalto per la pista di sterrato. Secondo la nostra tabella di marcia, oggi dovremmo percorrere circa 100 chilometri. In lontananza si vedono delle alture, qua e là qualche cespuglio secco, poi a mano a mano che ci addentriamo nell’hammada, il paesaggio diventa sempre più monotono, fino a entrare in un’immensa distesa di pietre, a perdita d’occhio. A questo punto del pomeriggio, la temperatura è piuttosto calda, nonostante il vento fresco. Uno dei fuoristrada si rompe, cominciamo bene. Un problema ad una balestra, sembra. Gli autisti si mettono tutti insieme a tentare di riparare il danno. Hanno una rudimentale cassetta degli attrezzi, dalla quale estraggono veramente di tutto. Il guasto ha dato un bel po’ di filo da torcere, ma dopo più di mezz’ora di tentativi sono riusciti ad avere la meglio. Hanno riparato il guasto grazie ad un cuneo di legno ricavato da un ramo secco, che hanno incastrato a dovere dove si è verificato il difetto. Questo è stato il primo di altri 3-4 piccoli guai tecnici occorsi alle nostre vetture, ma sempre riparati alla meglio dai nostri piloti-meccanici.
Ripartiamo. Il sole è oramai basso ed il freddo comincia a farsi sentire. Raggiungiamo una zona semi riparata da una paio di collinette di roccia. Il capoguida, Hadi, decide che questo è un buon punto per accamparsi. Fa disporre le tre jeep ferro di cavallo e qui montiamo le tende. Wadi Kezouin è il nome di questa zona. Abbiamo fatto meno strada rispetto al previsto, il luogo è piuttosto inospitale, il vento aumenta e con esso il freddo. Mentre io con alcuni compagni siamo intenti a terminare di montare le tende, vediamo un po’ di subbuglio vicino alle jeep. Più tardi gli altri nostri compagni ci informano che il trambusto è stato generato da una vipera che per fortuna Hadi e compagni hanno individuato e che sono stati costretti a sopprimere, data la pericolosità di quella specie (si trattava di un esemplare di vipera cornuta, velenosissima e tipica di queste zone). Mica male per essere il primo campo. Oramai il buio è calato, cuciniamo una delle numerose minestre liofilizzate di cui è composta la nostra “cambusa”, portata dall’Italia. Formaggio e prosciutto come secondo. Sono letteralmente intirizzito dal freddo.

Martedì 18/03/2003:
Qualcuno di noi ha un termometro. Al nostro risveglio segnava +2° gradi centigradi. Non male per essere in Africa! Colazione, campo smontato e via, alle 8:45. Dobbiamo recuperare la strada non percorsa ieri. Dopo tre ore di percorso, siamo nel cuore dell’Hammada Al Hamra. Vediamo sconfinate distese di sassi, per molti chilometri è una spianata sassosa spazzata dal vento. Il sole batte sulle pietre lisce, a volte è addirittura abbagliante. Lentamente il paesaggio si trasforma, dà spazio ai primi rilievi, cominciamo a vedere i primi accenni di sabbia, che aumenta sempre più, fino a dare spazio alle prime dune. Sono le 14:00 quando siamo ai confini settentrionale dell’Idehan Ubari, uno dei “mari di sabbia” libici. Quando sostiamo per il pranzo siamo ai piedi di un’alta duna e la sensazione di monotonia che ci ha accompagnato per diverse ore, si trasforma nello spettacolo sinuoso di queste meraviglie della natura. Anche il vento è quasi del tutto cessato e la temperatura è salita notevolmente. Finalmente fa un po’ caldo! Riprendiamo il viaggio, e dopo pochi chilometri ai nostri occhi si presenta uno spettacolo davvero bizzarro. Vediamo, in una zona non più vasta di 300-400 metri quadrati una distesa di strane pietre grigie, levigatissime, tondeggianti veramente strane, sembrano sculture e ricordano le forme dipinte da Botero. Le nostre guide non menzionano questo strano luogo, mentre alle nostre domande gli autisti alzano le spalle, sanno che è un posto interessante, ma non sanno spiegare come mai in un contesto geologico e paesaggistico completamente diverso, ad un tratto spuntano queste stranissime rocce. Ora le dune prendono il sopravvento sul paesaggio, per un buon tratto della pista ne siamo circondati. Il sole comincia a scendere, e questo produce un effetto meraviglioso sul paesaggio circostante. Guardando avanti, e poi a destra, a sinistra, dietro, la luce gioca strani effetti sulla sabbia, sui rilievi, creando effetti cromatici completamente diversi, bianca da una parte, poi gialla, poi rossa dall’altra……Il tutto raccolto dall’abbraccio del cielo, così profondamente azzurro…….. Facciamo campo proprio in mezzo alle dune, riparati in una specie di catino naturale. Il capo carovana fa disporre i fuoristrada a ferro di cavallo, in modo di offrir riparo al punto in cui si accenderanno tra un po’ i fuochi per la cena. E’ il nostro primo campo tra le dune, siamo immersi nei cangianti colori delle sabbie al tramonto. Tutta un’altra cosa rispetto all’inospitalità del luogo di ieri. Ci gustiamo un’incredibile stellata, attendendo il sorgere della luna da dietro un’alta duna. Poi intraprendiamo una difficile scalata, illuminati dalle stelle e dalla luna. Stupenda è la sensazione sulla pelle dei finissimi granelli di questa sabbia fresca, nella quale in alcuni punti si affonda fino oltre le caviglie. E il lasciarsi cadere ansimanti sulla sabbia, che sensazione incredibile di libertà!. Serata memorabile, questa. Peccato che poi, nel corso della notte, si è levato ancora un fortissimo vento, tanto che i normali paletti della tenda non riuscivano ad ancorarla la suolo. Penso che siano stati i nostro corpi e i bagagli a fungere da zavorra e ad evitare il peggio. La tenda si piegava tanto da scendere sul corpo, e la violenza del vento produceva un inevitabile rumore il quale non è che propiziasse proprio il sonno….


Fonte: www. cisonostato.it

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