I due paesi mediterranei considerati inadempienti a una direttiva del 1991 sono stati denunciati alla Corte di Giustizia dell'Unione.
Dopo ben nove anni di manifesta inadempienza alla normativa comunitaria la Commissione europea ha deferito l'Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell'Unione in merito al caso delle acque reflue. Il dato riscontrato dal commissario europeo per l'ambiente Janez Potocnik è quello della mancata dotazione da parte di Roma e Madrid di impianti di depurazione per le acque di scarico in diverse città e centri abitati.
Una lunga attesa. La direttiva ignorata, nel tempo, dai due governi è la numero 227 del 1991 con la quale Bruxelles vincola i Paesi membri a predisporre, entro il 31 dicembre del 2000, sistemi di trattamento delle acque reflue per i centri abitati con più di 15mila abitanti. A nove anni di distanza le carenze appurate in 178 comuni italiani e in 38 spagnoli sono ancora così palesi da aver obbligato l'organo di tutela degli interessi comunitari a mostrare i muscoli e a rimettere la questione nelle mani magistratura. "Le acque reflue urbane non trattate costituiscono sia un pericolo per la sanità pubblica sia la principale causa di inquinamento delle acque costiere e interne. - ha sostenuto Potonick - Non è accettabile che, più di otto anni dopo il termine stabilito, l'Italia e la Spagna non si siano ancora conformate a questa importante normativa. La Commissione non ha altra scelta se non portare i due casi innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea". E dire che di avvisi ne erano stati notificati diversi a entrambi i Paesi già dal 2004. Allora la Commissione trasmise una documentazione in cui veniva accertato che alcune città, italiane e spagnole, non avevano adempiuto alle disposizioni contenute nell'atto vincolante del 1991. Successivamente, dicembre 2008 per la Spagna e febbraio 2009 per l'Italia, da Bruxelles partirono altre due missive con le quali si fece presente ai due governi che le carenze permanevano. La situazione, neanche a dirlo, rimase, e rimane ancora, bloccata.
Centri a rischio. Nonostante le dichiarazioni d'intenti e i proclami sull'impegno globale per un pianeta più vivibile lanciati lo scorso dicembre dai pulpiti della Conferenza sul clima di Copenaghen, tanto l'Italia quanto la Spagna hanno dimostrato di non sentirci bene da quell'orecchio. Il provvedimento annunciato dal commissario sloveno ha di fatto relegato i due Paesi mediterranei a fanalini di coda per quanto riguarda tanto l'adeguamento agli standard comunitari quanto, il che è più grave, il rispetto delle politiche ambientali. Inoltre l'allarme colpirebbe località turistiche considerate fra le più belle d'Europa come, per l'Italia, Reggio Calabria, Caserta, Capri, Ischia, Messina, Palermo, San Remo, Albenga e Vicenza; e, per la Spagna, La Coruña, Santiago, Gijon e Benicarlo.
Gli abitanti di queste città, e gli escursionisti che periodicamente vi si recano, potrebbero trovarsi soggetti a virus provocati dalla mancanza di salvaguardia del territorio da parte delle istituzion. E, ancora, il patrimonio ambientale che rischia d'inquinarsi oltre misura. Basti pensare ai danni provocati da azoto e fosforo che se liberati in mare causano eutrofizzazione, ovvero un'ipercrescita di alghe che finisce per impedire lo sviluppo di altre forme di vita.
Un allarme vero e proprio che, lontano dai flash e dalle telecamere, diventa un "problema secondario". Che si strumentalizza in aspre bagarre televisive quando a provocarlo sono i camion della camorra o le navi delle grandi multinazionali del petrolio. Che si ignora, semplicemente, se a fomentarlo è l'immobilità di coloro che, invece, hanno il dovere, in quanto rappresentanti del popolo, di porvi rimedio.
Fonte: Antonio Marafioti, www.peacereporter.it
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