Freedom Flotilla, Israele attacca la flotta con aiuti: decine di morti


Almeno sedici passeggeri della flotta internazionale di attivisti pro-palestinesi che si dirigeva verso Gaza sono rimasti uccisi durante l'assalto di un commando israeliano. Lo ha annunciato la catena televisiva privata israeliana "10". Anche Hamas ha denunciato l'arrembaggio della flottiglia di aiuti umanitari e di attivisti filopalestinesi da parte della marina israeliana, affermando che si tratta di "terrorismo organizzato di stato".
M.O.,assalto a nave pro Gaza: morti

Nell'arrembaggio, secondo la tv privata israeliana, sarebbero morte sedici persone mentre secondo i media turchi sono morte due persone e diverse altre sono state ferite. La stampa israeliana ha riferito che un ferito è stato trasportato in elicottero in un ospedale di Haifa. Le sue condizioni, a quanto si è appreso, sono di media gravità.

Il portavoce militare israeliano non ha finora rilasciato alcun comunicato in merito all'operazione della marina al largo di Gaza.

La radio israeliana ha riferito che ad Ankara il governo turco è stato convocato in seduta di emergenza e che l'ambasciatore di Israele è stato convocato al ministero degli Esteri per una protesta. Alcune navi della flottiglia battono bandiera turca e una Ong turca sarebbe uno dei principali organizzatori dell'intera operazione di invio di una flottiglia di aiuti a Gaza sotto assedio.

Israele, che nega che a Gaza sia in atto una crisi umanitaria, aveva ripetutamente avvertito che avrebbe impedito alla flottiglia di arrivare a Gaza ma si era offerto di far pervenire a destinazione gli aiuti, dopo ispezione, tramite un valico terrestre. Per Israele, perciò, l'intera operazione è una "provocazione" studiata con l'intento di diffamare la sua immagine agli occhi del mondo.

Per Hamas i morti sono venti
E' di 20 morti il bilancio degli scontri avvenuti a bordo della flotta di una ong diretta a Gaza secondo un portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri. Quest'informazione, fornita in una intervista in tv, non ha per ora altra conferma.

Censura israeliana su morti e feriti
La censura israeliana ha vietato la diffusione di notizie su morti e feriti nell'arrembaggio da parte della marina militare israeliana al largo di Gaza.

Navi flottiglia dirottate a Haifa
Le navi della flottiglia sono dirottate dalla marina israeliana nel porto di Haifa e non di Ashdod dove si sono raccolti gli inviati di media di tutto il mondo, secondo fonti stampa israeliane.

Ministro Israele: "Rammarico per vittime"
Il ministro israeliano per il Commercio e l'Industria ha espresso il proprio "rammarico per tutte le vittime" dell'assalto della marina alla flotta di attivisti pro-palestinesi diretti a Gaza. "Le immagini non sono certo piacevoli. Posso solo esprimere rammarico per tutte le vittime" ha detto il ministro Binyamin Ben-Eliezer, alla radio dell'esercito.

Ministro Turchia: "Attacco inaccettabile"
Il ministero degli Esteri turco ha espresso la propria vibrata protesta all'ambasciatore israeliano in Turchia per il grave attacco, definendolo ''inaccettabile''.

Fonte: www.mediaset.it

India, aereo esce di pista e prende fuoco. E' strage


Un aereo è uscito di pista e ha preso fuoco all'atterraggio in uno scalo nel sud dell'India. A bordo, hanno riferito le autorità aeroportuali, c'erano 172 persone, 163 passeggeri e 9 membri dell'equipaggio. Il ministro dell'Interno dello stato meridionale indiano di Karnataka, V.S. Acharya, ha confermato che almeno 160 persone sono morte nell'incidente. Si è appreso che "molte delle vittime sono emigrati dello stato del Kerala".

Ci sono alcuni superstiti nel disastro aereo a Mangalore, nel sud dell'India, costato la vita ad almeno 160 persone. A bordo, secondo i dati forniti dalla compagnia Air India, c'erano 160 passeggeri e sei membri dell'equipaggio. ''Almeno cinque o sei persone sono state portate in ospedale, si ignorano le loro condizioni'', ha detto il ministro dell'Interno dello stato di Karnataka V.S. Acharya. ''L'aereo si è spezzato in due, io sono saltato fuori dopo lo schianto e ho visto altre due persone venir fuori'', ha detto alla tv locale TV9 un sopravvissuto dall'ospedale.

Potrebbe essere stata la scarsa visibilità a causare il disastro aereo. E' una delle ipotesi dei media indiani. In questi giorni il sud del paese è interessato dall'arrivo del monsone estivo. Al momento dell'atterraggio c'era maltempo e molta foschia. Le autorità hanno però precisato che l'aeroporto internazionale della città è dotato di strumentazioni moderne.

L'aeroporto di Mangalore, nello stato meridionale di Karnataka, era stato inaugurato appena la settimana scorsa. In particolare, le due piste di atterraggio erano stata allungate per permettere l'arrivo di aerei più grandi. Era stato aperto anche un nuovo terminal per passeggeri e per aerei cargo in previsione di un forte aumento del traffico aereo, soprattutto verso il Golfo. Secondo i media indiani, il ministro dell'aviazione Praful Patel aveva proposto lo status di scalo internazionale.

E' uno dei più gravi incidenti aerei nella storia dell'India. A causa del disastro la leader del partito del Congresso Sonia Gandhi ha cancellato le celebrazioni per il primo anniversario dell'insediamento per un secondo mandato legislativo, il 22 maggio 2009, della coalizione Upa (United Progressive Alliance) guidata dal Congresso.

Fonte: www.mediaset.it

Il megasalvataggio dell'euro? Abuso di potere da parte delle istituzioni europee


In un editoriale del Wiesbadener Kurier di ieri, con il titolo "Senza legittimità democratica", Hans-Joachim Jentsch, un ex membro della Corte Suprema tedesca (1996-2005) ora tra le fila del partito CDU, attacca il megasalvataggio dell'euro e la sua approvazione parlamentare. "Apriamo una diga che non sapremo richiudere", in palese violazione di una clausola specifica posta a fondamenta della stessa unione monetaria europea, ha scritto Jentsch. Quel che è peggio è che si tratta, inoltre, di un abuso di potere da parte delle istituzioni europee a spese delle sovranità nazionali, come ha chiaramente indicato la decisione della Corte Costituzionale tedesca in merito al Trattato di Lisbona. "Con la giustificazione della necessità di un meccanismo di stabilizzazione europea, non si sta facendo altro che trasferire la sovranità dagli stati nazionali all'Unione Europea, superando i trattati europei stessi, il che significa un colpo di stato a freddo".

Jentsch attacca in particolar modo José Manuel Barroso, Presidente della Commissione Europea, che avrebbe affermato "L'euro sarà difeso, a qualunque costo", facendo in sostanza appello ad una "palese noncuranza dei trattati esistenti e della legittimità democratica. È irresponsabile".

Che nella CDU stia crescendo forte la resistenza al piano di salvataggio si capisce dalle note critiche espresse da Norbert Lammert. Il presidente del Bundestag s'è lamentato per la fretta con cui l'organo da lui presieduto sta decidendo sui contributi tedeschi al sistema europeo di protezione finanziaria. Rispondendo alle domande del Kölner Stadtanzeiger, Lammert ha detto che "i tempi stretti" dovrebbero essere esaminati in "modo auto-critico".

Dopo il voto del Bundestag, il parlamentare della CSU Peter Gauweiler ha presentato un ricorso costituzionale contro il pacchetto. Gauweiler, che riscosse una mezza vittoria col suo ricorso contro il Trattato di Lisbona, è affiancato dal costituzionalista Dietrich Murswiek, che lo rappresentò già in quel ricorso (vedi l'intervista del 2009 a Murswiek "Germania: schiaffo costituzionale al Trattato di Lisbona").

Fonte: www.movisol.org

Gb, spot pro-aborto divide gli inglesi


Non è stato ancora mandato in onda e sta già dividendo l'Inghilterra, l'oggetto in questione è uno spot il cui tema è pro-aborto. Il video è finanziato dalla Marie Stopes Organisation, un'associazione no-profit che assiste le donne che vogliono abortire, e sta suscitando polemiche in tutta la nazione. I gruppi pro-vita gridano all'oltraggio e alcune società per il diritto alla nascita stanno intentando causa per vientarne la trasmissione.
Gb, spot pro-aborto fa scandalo. In onda a giorni: causa per fermarlo (Telegraph)

Secondo il Telegraph, il filmato in questione sarà trasmesso da Channel 4 nel Regno Unito a eccezione dell'Irlanda del Nord, dove l'aborto è ancora illegale. Tra le polemiche il direttore della Marie Stropes, Julie Douglas, alza la voce spiegando che lo spot "fornisce informazioni alle donne affinché possano rivolgersi a persone che non le giudicheranno nella scelta per nulla semplice dell'aborto". ''Lo scorso anno abbiamo ricevuto 350mila telefonate. E' chiaro che ci sono centinaia di migliaia di donne che vogliono e hanno bisogno di informazioni sulla loro salute sessuale, sulla consulenza e sull'accesso ai servizi'', ha dichiarato un portavoce dell'organizzazione.

Il video
Lo spot mostra una ragazza alla fermata di un autobus e poi la domanda: ''Sei in ritardo?''. Alla fine del filmato compare il numero verde dell'associazione.

Associazioni pro-vita
Tuttavia, secondo la Società per la protezione dei bambini non nati Marie Stopes ha ''interesse finanziario a incrementare la domanda di aborti''. L'associazione, finanziata dal Servizio sanitario nazionale inglese, effettua ogni anno 65mila aborti. Anthony Ozimic, un portavoce del gruppo antiabortista, ha affermato: ''Né a Marie Stopes né ad associazioni simili dovrebbe essere permesso pubblicizzare l'uccisione di bambini ancora non nati. Stiamo ricevendo consulenza riguardo alla legalità dello spot''. Secondo i critici dell'iniziativa, l'organizzazione starebbe approfittando della mancanza di regolamentazione sul tema.

Secondo la legge britannica
La legge britannica vieta solo a chi trae profitti dalle interruzioni volontarie di gravidanza, come le cliniche, di pubblicizzare la propria attività.

Nel 2008 gli aborti nel Regno Unito sono stati 215.975, dei quali 20mila su donne provenienti dall'estero.

Fonte: www.mediaset.it

Lo scandalo dei rifiuti elettronici mandati in Africa



Secondo i calcoli dell’Onu, ogni anno il mondo produce circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici. La stragrande maggioranza di questi rifiuti sono prodotti nel Nord del Mondo, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa.

Computer, telefonini, televisori, radio e altri oggetti vanno a ingrossare le fila dei rifiuti elettronici mandati in Africa.

Certo, i rifiuti elettronici mandati in Africa sono una parte del totale della spazzatura inviata in quel continente; tuttavia, questa parte è particolarmente significativa per due motivi. Innanzi tutto perché mostra come l’Africa continui ad essere un continente sfruttato dai paesi ricchi sia dal punto di vista produttivo che dal punto di vista politico-sociale. Secondariamente, i rifiuti elettronici mandati in Africa si rivelano particolarmente dannosi per la salute degli abitanti e per la salubrità dei luoghi stessa.

UN PROBLEMA DI COSTI

Partiamo dal secondo motivo di importanza.

In Africa questi rifiuti vengono sistemati in delle sterminate discariche nelle quali i ragazzi, o più spesso i bambini, bruciano la plastica degli oggetti elettronici per recuperare i metalli, come rame e ferro, con l’obiettivo di rivenderli per una miseria. Quella miseria purtroppo fa comodo alle famiglie dei ragazzi di 10 anni che si avvelenano il corpo procurandosi tumori ai polmoni, alla gola e al cervello.

Il problema è che lo smaltimento dei rifiuti è troppo costoso se fatto in Europa, in quanto esistono leggi da rispettare. Di conseguenza lo si fa in Africa, senza regole né controlli. Inviando tonnellate di spazzatura in un paese povero si saccheggia anche il futuro di quello stato, condannando molti dei suoi abitanti a una morte prematura.

DALL’AFRICA ALL’AFRICA ARRICCHENDO EUROPA E AMERICA

Inoltre, proprio il continente africano, e in particolare il Congo, è tra i primi produttori al mondo di coltan, una lega metallica che serve a costruire oggetti elettronici. Le miniere intorno a Goma brulicano di persone che vi lavorano a ritmi frenetici e in un ambiente pericoloso per estrarre il prezioso metallo.

Il metallo viene estratto in Africa al prezzo della vita dei minatori, portato (più raramente venduto) alle multinazionali che costruiscono computer e li vendono, producendo ricchezza, al nord del mondo, dove l’utilizzo di questi computer continua a produrre ricchezza.

Quando la tecnologia è obsoleta, torna in Africa al posto di essere smaltita, dove invece di produrre ricchezza provoca inquinamento e malattie.

CHI GUADAGNA E CHI PERDE

Sui rifiuti elettronici mandati in Africa l’Europa, o molto più debolmente gli USA, ha prodotto una legislazione. Il problema è che questa è quasi totalmente inefficace, in quanto non è sempre facile discernere tra le componenti obsolete ma funzionanti (anche se per poco) inviate nei paesi poveri con la scusa di modernizzarlo oppure le componenti completamente inutilizzabili. Comunque, nonostante la restrittività delle leggi, mancano quasi completamente i controlli.

Chi guadagna in questo commercio? Innanzi tutto le aziende, che risparmiano sullo smaltimento dei rifiuti, e gli stati ricchi, per lo stesso motivo. Guadagnano anche gli stati poveri o i potentati locali dei paesi sottosviluppati, che ricevono emolumenti, e, da ultimo, guadagna la criminalità organizzata che ha il suo tornaconto nell’organizzare il vero e proprio contrabbando di spazzatura.

Chi perde è ovviamente la popolazione dei paesi poveri, senza futuro né salute.

Marco Lioi

Fonte: www.terranauta.it

Gaza's First Festival for Video Art 2010

Lo spazio intorno a noi è limitato, le nostre idee sono illimitate". Per ampliare gli orizzonti, non solo artistici, della vita culturale di Gaza, il 19 giugno inizierà il Gaza's First Festival for Video Art 2010. Le iscrizioni si chiuderanno il prossimo 21 maggio.

L'idea è nata da "Finestre da Gaza per l'arte contemporanea", un gruppo che riunisce alcuni artisti palestinesi della Striscia. Il blocco imposto dal governo israeliano ha danneggiato, oltre a tutto il resto, anche la vita culturale e artistica, rimasta vittima di una situazione diventata ormai soffocante per tutta la popolazione locale.
In merito a questa iniziativa, PeaceReporter ha intervistato Shareef Sarhan. Nato a Gaza nel 1976, Shareef è tra i promotori e organizzatori di questa iniziativa. Artista, fotografo professionista e scenografo, Shareef è anche tra i fondatori dell'associazione "Finestre da Gaza".

Come è nata l'idea di organizzare un festival internazionale di arte visiva a Gaza?
E' un'idea a cui lavoriamo da tempo e nasce da moltissime ragioni, tra cui soprattutto la situazione sociale in cui ci troviamo a vivere. Vogliamo entrare in contatto con nuove e diverse espressioni culturali, nuove idee che provengono da società diverse dalla nostra. Poi, certamente, una delle ragioni è il blocco su Gaza: questo festival è una forma di comunicazione che può far conoscere agli altri la nostra realtà, un tentativo per rompere questo assedio. L'idea di organizzare un festival, qui a Gaza, è arrivata dopo che noi di "Finestre da Gaza per l'arte contemporanea" abbiamo fatto diversi esperimenti in esposizioni internazionali. Intanto qui nella nostra terra c'erano moltissimi nuovi lavori, un bagaglio importante per le comunità locali. La nostra idea è un po' quella di spostare tutto il mondo a Gaza visto che noi artisti non possiamo uscire per andare incontro a questo mondo e conoscerlo di persona.

Quanti progetti avete ricevuto?
Fino a questo momento abbiamo ricevuto circa 80 lavori video, ma ci sono ancora quattro giorni prima del termine del bando e siamo sicuri che arriveremo ad ottenere 100 video. Poi però saremo noi a dover lavorare per decidere quali film scegliere e quali rifiutare.

Cosa vi aspettate dall'iniziativa?
Quello che ci aspettiamo, soprattutto, è di provare a rompere questo blocco su Gaza e di far conoscere i lavori, le culture e le nuove forme d'arte di città e stati di cui noi abbiamo solo sentito parlare. Questo credo che avrà un effetto sulla gente di qui e anche sugli artisti locali, sia a Gaza che in tutta la Palestina. Il festival infatti sarà presentato a Gerusalemme, Ramallah, Betlemme e probabilmente anche a Nablus, Rafah e Jabaliia (quest'ultime rispettivamente nel sud e nel nord della Striscia di Gaza). Si tratta di un'occasione nuova per far conoscere allo spettatore palestinese l'arte sia dalla Palestina stessa che del resto del mondo. Questo per noi sarà già un successo.

Cosa significa oggi essere un artista a Gaza, e in Palestina, e quale potrebbe essere secondo lei il ruolo di un artista in questa situazione?
Essere artista a Gaza ha molti significati: l'amore, la guerra, il blocco, la libertà, la speranza, la bellezza. Tu sei l'artista e tu sei colui che difende la sua nazione, ma con armi diverse e in luoghi diversi. Forse, qui a Gaza, l'artista è influenzato da molte più cose: oggi e tutti i giorni siamo la voce della gente, i loro occhi, quelli che possono trasmettere per loro messaggi al mondo intero attraverso la lingua dell'arte. L'artista gioca molti ruoli, soprattutto nell'espressione della vita della persone, della loro situazione e delle loro preoccupazioni utilizzando una forma artistica in modo che tutto ciò arrivi al pubblico. In certi casi l'arte può rompere i confini, vola alto fino in cielo e raggiunge tutte le genti.

Avete ricevuto sostegno dal movimento pacifista israeliano?
No, qui a Gaza la situazione è difficile e non ci sono molti rapporti con il movimento pacifista israeliano. Non abbiamo ricevuto alcun sostegno.

In che modo l'attuale situazione sta influenzando il mondo artistico e culturale?
La situazione rimane difficile anche dentro i confini dell'arte. La maggior parte della gente, qui da noi, cerca libertà per lavorare e mangiare, cerca ordine e regole. Noi invece cerchiamo di rimanere influenzati dalla società per poi trasportare la nostra realtà, attraverso il nostro spirito di artisti contemporanei, e farla arrivare al mondo. Bisogna però tenere presente che un artista qui lavora con grande difficoltà, soprattutto per la mancanza di materiale. Ma andiamo avanti perché la produzione artistica, oltre ad aiutare noi stessi, aiuta le persone a godersi la vita.

Come pensa che reagirà la popolazione di Gaza a questo evento?
Non so in che modo la gente accoglierà questo festival: é il primo da quando è iniziato il blocco. Quello che è certo è che inviteremo moltissime persone a partecipare alla nostra proposta. Questo festival sarà una chiave per aprire i nostri orizzonti e forse potrà essere una luce, piccola o grande, che aiuterà la gente a sviluppare la creatività di ciascuno e a pensare, in futuro diverso e bello dove ci sia libertà, pace e ordine.

Fonte: Laura Aletti di www.peacereporter.net

In Somalia è crisi istituzionale


E' crisi istituzionale in Somalia, dove il governo di transizione del premier Omar Abdirashid Sharmarke è stato sfiduciato. In seguito a una seduta parlamentare particolarmente accesa, 280 deputati hanno ieri votato a favore della mozione di sfiducia, 30 i contrari e otto gli astenuti. Mentre in aula si consumava lo scontro tra Sheikh Aden Madobe, presidente del parlamento, e il leader dell'esecutivo Sharmarke, a Mogadiscio infuriavano i combattimenti. I ribelli degli Shabaab, fazione vicina a al-Qaeda, hanno cercato più volte di conquistare la sede parlamentare. Dura la reazione delle truppe di Amisom, la missione dell'Unione africana, che ha sparato sul mercato di Bakara, considerato la roccaforte dell'opposizione islamica, facendo decine di vittime tra i civili. La crisi politica di questi ultimi giorni ha ingarbugliato ancora di più la complessa situazione della Somalia, che si trova a fare i conti con una recrudescenza del conflitto armato.

PeaceReporter ha intervistato Matteo Guglielmo, ricercatore ed analista del Cespi per il Corno d'Africa.

Come si è arrivati a questa crisi di governo?

Era da dicembre che il parlamento somalo non si riuniva e molti nodi politici erano rimasti in sospeso. Erano presenti in aula poco più di trecento parlamentari, a fronte di un numero complessivo di 550 deputati. Molti, infatti, risiedono all'estero e tanti non sono riusciti a raggiungere Mogadiscio. Al governo di Sharmarke viene rimproverato di non aver fatto abbastanza per la sicurezza del Paese e per l'allargamento del processo di pace. A gennaio il Consiglio europeo ha dato l'avallo a una missione militare in Uganda (Eutm) per contribuire alla formazione delle forze di sicurezza somale. Il problema è che poi l'esecutivo non paga i soldati che, trovandosi senza stipendio, passano all'opposizione. Nel passaggio si portano via le armi che, invece, arrivano dagli Stati Uniti. Paradossalmente gli Usa e l'Unione europea si trovano a finanziare i ribelli islamici. In Somalia non esiste un esercito regolare e strutturato, di conseguenza i soldati ubbidiscono alle leggi claniche. Se un signore della guerra di un determinato clan decide di cambiare fazione, viene seguito da tutti i suoi uomini.

Quale sarà il futuro del premier?

Per ora restano le sue dimissioni, anche se oggi le ha definite "incostituzionali" e ha espresso la volontà di restare in carica. Ieri nel giro di poche ore si sono susseguite due conferenze stampa. La prima di Madobe, presidente del parlamento, che annunciava l'approvazione della mozione di sfiducia e la caduta del governo. La seconda di Sharmarke che sosteneva l'illegalità della mozione, in quanto il mandato di Madobe era scaduto. In seguito ai colloqui tra il presidente Ahmad Sharif e Madobe, quest'ultimo si è dimesso, probabilmente dietro la promessa di un incarico ministeriale nel prossimo esecutivo.

L'opposizione islamica trae vantaggio da questa situazione?

Sì, assolutamente. L'incertezza politica incrementa l'emorragia di soldati e civili verso gli Shabaab o Hizbul Islam. Questa crisi, tra l'altro, si è verificata proprio nel momento sbagliato, quando era in corso una “spaccatura” all'interno di Hizbul Islam che aveva subito la defezione di Shek Ahmed Madobe, uno dei capi, che si sarebbe avvicinato al governo. La corrente degli Shabaab riconducibile a Abu Mansur Robow, l'ex portavoce, ha, inoltre, guardato con favore la difesa fatta dal capo dello stato Sharif del presidente del parlamento che appartiene al loro stesso clan. Questo, ovviamente, non avrebbe significato un avvicinamento degli Shabaab al nuovo governo, ma avrebbe favorito una distensione dei rapporti.


Fonte: Benedetta Guerriero di www.peacereporter.net

IL FASCINO DEL SAHARA


Di buon mattino, partiamo alla volta di Ghadames. Dobbiamo raggiungere la nostra meta entro sera e lungo la strada abbiamo una tappa importante: l’antica città di Sabratha. Subito ai margini del centro urbano di Tripoli, lungo l’importante arteria di collegamento percorsa, notiamo un’abbondante presenza di rifiuti. Purtroppo questa sarà una costante delle periferie urbane da noi attraversate. Arriviamo dopo 1 ora circa. Come la stragrande maggioranza dei siti archeologici, il prezzo del biglietto è di 3 Dinari ciascuno, se si desidera fotografare ci vogliono altri 3 Dinari. Data l’importanza e la vastità dell’area da visitare, ingaggiamo per 40 Dinari una guida, che ci accompagnerà nella zona archeologica. Resti di diversi complessi termali, di templi, colonnati, qualche vestigia punico-fenicia. Interessante, certo, ma sinceramente mi aspettavo qualche cosa di più. Eccezionale invece il teatro, nonostante abbia subito un’opera di restauro particolarmente intensa, regala un impatto d’effetto, grazie alla sua imponenza, con i tre ordini di colonne corinzie che si ergono per oltre 20 metri dietro il palcoscenico. Era il teatro romano più grande dell’Africa, a testimonianza dell’importanza che ricopriva la città di Sabratha. Abbiamo visitato anche il museo annesso agli scavi (ingresso altri 3 Dinari), il quale custodisce solo reperti trovati nel corso degli scavi condotti nella zona, tra cui i grandi mosaici che adornavano la basilica di Giustiniano. Al momento gli scavi sono sospesi, anche se è stato stimato che una buona metà della città giace ancora sotto la sabbia. Al termine della visita ripartiamo e dopo circa 3 ore di strada arriviamo a Nalut, cittadina famosa per ospitare nei suoi pressi un antico granaio berbero fortificato. Scendiamo dal nostro veicolo, un forte vento gelido ci accoglie. Paghiamo l’esiguo biglietto d’ingresso ai guardiani, i quali molto gentili, ci accompagnano nella visita di questo strano sito. Il luogo è molto ben conservato, girando nelle strette viuzze del complesso, si possono vedere uno accanto all’altro le anguste stanzette dove era custodito il grano, l’olio ecc. Sono rimasti gli otri, i contenitori in terracotta, alcuni interrati, altri più evidenti. In alcuni ambienti sono esposti anche gli utensili utilizzati dalla comunità agricola, rudimentali falci, zappe, mortai, basti ecc. Data la bizzarria di come le stanze spuntano dalla struttura di malta, la tortuosità delle viuzze sopra le quali di tanto in tanto si affacciano anche dei minuscoli balconcini, la costruzione, nel suo insieme sembra quasi un alveare, oppure una città fantastica, abitata da gnomi. Abbiamo avuto modo di vedere anche una piccolissima e antica moschea, sempre costruita con mattoni di fango, e un interessantissimo frantoio ancora attrezzato, con le giare dove si lasciava decantare l’olio, le pietre da macina il meccanismo in legno che consentiva alla forza sviluppata dall’animale destinato al traino, di produrre il movimento che azionava la macina. E’ stata una tappa veramente apprezzata da tutti noi. Peccato per il freddo pungente, che non ci ha certo invogliato ad indugiare un po’ di più in questo strano luogo. Ripartiamo e raggiungiamo Ghadames, dove ci congediamo con l’autista ed il pullmino utilizzato fino ad ora e facciamo conoscenza con le guide che ci condurranno per i prossimi dieci giorni a bordo di fuoristrada nella parte più meridionale del nostro tour: verso il deserto. Il centro abitato di Ghadames è veramente squallido, caseggiati disposti alla rinfusa lungo le strade, la mancanza del più elementare senso urbanistico e l’incuria di quelli che sono gli spazi comuni, rendono questa città veramente triste. Oramai è buio, alcuni di noi raggiungono il posto telefonico dove chiamare casa. Per alcuni giorni, poi, non sarebbe più stato possibile. Il costo delle telefonate in tutta la Libia si aggira intorno ai 3-4 dinari ogni paio di minuti di conversazione. Cena piuttosto mediocre in un piccolo locale dal nome “Sahnon Restaurant”. Spendiamo complessivamente 80 Dinari. La notte la passiamo sistemati in stanze, messeci a disposizione presso una casa privata (costo 15 Dinari a testa). Il livello di pulizia lascia molto a desiderare.

Lunedì 17/03/2003:
Inizia la giornata con la visita della città vecchia di Ghadames. Il biglietto d’ingresso costa 5 Dinari a persona. Prendiamo contatto anche una guida che ci accompagni e ci descriva ciò che incontreremo. Il suo ingaggio è di 50 Dinari. Se Ghadames nuova mi ha deluso per il suo squallore, Ghadames vecchia mia ha incantato per il suo fascino. Per buona parte l’antico centro è cinto da mura. Alla fine della nostra visita ho guardato a queste mura come si guarda un baluardo amico, un abbraccio protettivo che divide il mondo di queste affascinanti architetture da “mille e una notte”, dall’abbrutimento senza regole del nuovo cemento. Questa Ghadames è un dedalo di strette, bianche viuzze, che si insinuano tra quelle che erano le antiche abitazioni di queste genti. Ogni via resta per buona parte coperta al cielo, sfruttando archi, sottopassi e in genere la struttura stessa delle case. Questo accorgimento, oltre a quello per il quale le vie hanno una larghezza molto limitata, erano principi studiati ad arte per ottenere più riparo possibile dal sole, cocente per molti mesi all’anno. Altro elemento che sottolinea la maestria con la quale queste strutture urbane sono state concepite, è il fatto che il dedalo di stradine di cui Ghadames è formata, sono disposte in modo tale da permettere un continuo ricambio d’aria, sfruttando oltre il naturale favore dei venti, anche degli appositi sifoni creati per facilitare la ventilazione nei punti più difficili. Lungo ogni via per buona parte si snodano sedili di muratura, anch’essi bianchi, dove le persone potevano sostare e trattenersi. Di tanto in tanto piccoli slarghi, piazzette dalle piante irregolari, con gli immancabili sedili, con le mura bianche dove qua e là sono scavate delle nicchie create per ospitare le lampade ad olio. Alcune di queste case sono aperte, è possibile visitarle. Abbiamo visitato l’interno di una di queste abitazioni. Molto caratteristica, con diverse stanze, tappeti, dipinta tutta di bianco con decorazioni molto particolari, specie di arabeschi con predominanza del colore rosso. Altra sbalorditiva caratteristica di Ghadames è che attraverso i tetti è possibile andare da un capo all’altro della città, e le case confinanti sono tutte comunicanti, attraverso delle brevi scale che portano a cortiletti pensili. Dai tetti delle case è poi possibile godere favolosi panorami, sui verdeggianti palmizi che circondano la città. Altro dettaglio singolare di queste architetture è che ciascuno degli angoli posti sulla sommità delle abitazioni, terminano con punte triangolari e questo rende ancora più fiabesche le vedute della città dai tetti. Ghadames è patrimonio dell’Unesco e le attività di manutenzione sono particolarmente attive, specialmente in quelle parti della città ove i segni del tempo e, purtroppo, anche della seconda guerra mondiale hanno lasciato traccia. Altra caratteristica che ricordo con estremo piacere sono le stradine che conducono fuori dal “centro”. Queste, delimitate da muri alti 2-3 metri in malta, hanno solo la parte terminale dipinta di bianco, con motivi traforati a forma di triangolo. Quanto è piacevole percorrere queste viuzze dal corso irregolare, e vedere in alto, oltre i muri, le chiome delle palme, e più in alto l’azzurro terso e schietto del cielo. E’ stata una visita meravigliosa, ben condotta dalla nostra preparatissima guida locale.
Saliamo sulle 4x4, ma prima di partire sostiamo al mercato dove facciamo scorta di acqua, pane, frutta e verdura, sufficiente per circa quattro giorni, cioè tanto quanto staremo lontani da qualsiasi centro abitato. Le bottiglie d’acqua da 1,5 litri costano da 0,80 a 1 dinaro l’una. Un chilo di arance costa 1 dinaro. La verdura costa piuttosto poco, se con 12 dinari abbiamo acquistato una buona quantità di pomodori, zucchine, cipolle e patate. Abbiamo, poi, constatato che l’ordine di grandezza dei prezzi è più o meno lo stesso in tutta la Libia. Il pane ha un prezzo politico, incredibilmente basso. Con pochi spiccioli si comprano un sacco di baguettes, che tra l’altro sono davvero squisite, profumate, saporite, croccanti all’esterno e morbide all’interno, una vera delizia, tant’è che qualcuno, me compreso, le sgranocchiava così, senza companatico. Per quanto riguarda gli altri generi alimentari di base, tipo pasta, insaccati, formaggi e condimenti vari, ce ne è una buona scorta partita dall’Italia.
Oramai è primo pomeriggio quando partiamo, abbandonando il centro abitato. Quasi subito lasciamo il nastro d’asfalto per la pista di sterrato. Secondo la nostra tabella di marcia, oggi dovremmo percorrere circa 100 chilometri. In lontananza si vedono delle alture, qua e là qualche cespuglio secco, poi a mano a mano che ci addentriamo nell’hammada, il paesaggio diventa sempre più monotono, fino a entrare in un’immensa distesa di pietre, a perdita d’occhio. A questo punto del pomeriggio, la temperatura è piuttosto calda, nonostante il vento fresco. Uno dei fuoristrada si rompe, cominciamo bene. Un problema ad una balestra, sembra. Gli autisti si mettono tutti insieme a tentare di riparare il danno. Hanno una rudimentale cassetta degli attrezzi, dalla quale estraggono veramente di tutto. Il guasto ha dato un bel po’ di filo da torcere, ma dopo più di mezz’ora di tentativi sono riusciti ad avere la meglio. Hanno riparato il guasto grazie ad un cuneo di legno ricavato da un ramo secco, che hanno incastrato a dovere dove si è verificato il difetto. Questo è stato il primo di altri 3-4 piccoli guai tecnici occorsi alle nostre vetture, ma sempre riparati alla meglio dai nostri piloti-meccanici.
Ripartiamo. Il sole è oramai basso ed il freddo comincia a farsi sentire. Raggiungiamo una zona semi riparata da una paio di collinette di roccia. Il capoguida, Hadi, decide che questo è un buon punto per accamparsi. Fa disporre le tre jeep ferro di cavallo e qui montiamo le tende. Wadi Kezouin è il nome di questa zona. Abbiamo fatto meno strada rispetto al previsto, il luogo è piuttosto inospitale, il vento aumenta e con esso il freddo. Mentre io con alcuni compagni siamo intenti a terminare di montare le tende, vediamo un po’ di subbuglio vicino alle jeep. Più tardi gli altri nostri compagni ci informano che il trambusto è stato generato da una vipera che per fortuna Hadi e compagni hanno individuato e che sono stati costretti a sopprimere, data la pericolosità di quella specie (si trattava di un esemplare di vipera cornuta, velenosissima e tipica di queste zone). Mica male per essere il primo campo. Oramai il buio è calato, cuciniamo una delle numerose minestre liofilizzate di cui è composta la nostra “cambusa”, portata dall’Italia. Formaggio e prosciutto come secondo. Sono letteralmente intirizzito dal freddo.

Martedì 18/03/2003:
Qualcuno di noi ha un termometro. Al nostro risveglio segnava +2° gradi centigradi. Non male per essere in Africa! Colazione, campo smontato e via, alle 8:45. Dobbiamo recuperare la strada non percorsa ieri. Dopo tre ore di percorso, siamo nel cuore dell’Hammada Al Hamra. Vediamo sconfinate distese di sassi, per molti chilometri è una spianata sassosa spazzata dal vento. Il sole batte sulle pietre lisce, a volte è addirittura abbagliante. Lentamente il paesaggio si trasforma, dà spazio ai primi rilievi, cominciamo a vedere i primi accenni di sabbia, che aumenta sempre più, fino a dare spazio alle prime dune. Sono le 14:00 quando siamo ai confini settentrionale dell’Idehan Ubari, uno dei “mari di sabbia” libici. Quando sostiamo per il pranzo siamo ai piedi di un’alta duna e la sensazione di monotonia che ci ha accompagnato per diverse ore, si trasforma nello spettacolo sinuoso di queste meraviglie della natura. Anche il vento è quasi del tutto cessato e la temperatura è salita notevolmente. Finalmente fa un po’ caldo! Riprendiamo il viaggio, e dopo pochi chilometri ai nostri occhi si presenta uno spettacolo davvero bizzarro. Vediamo, in una zona non più vasta di 300-400 metri quadrati una distesa di strane pietre grigie, levigatissime, tondeggianti veramente strane, sembrano sculture e ricordano le forme dipinte da Botero. Le nostre guide non menzionano questo strano luogo, mentre alle nostre domande gli autisti alzano le spalle, sanno che è un posto interessante, ma non sanno spiegare come mai in un contesto geologico e paesaggistico completamente diverso, ad un tratto spuntano queste stranissime rocce. Ora le dune prendono il sopravvento sul paesaggio, per un buon tratto della pista ne siamo circondati. Il sole comincia a scendere, e questo produce un effetto meraviglioso sul paesaggio circostante. Guardando avanti, e poi a destra, a sinistra, dietro, la luce gioca strani effetti sulla sabbia, sui rilievi, creando effetti cromatici completamente diversi, bianca da una parte, poi gialla, poi rossa dall’altra……Il tutto raccolto dall’abbraccio del cielo, così profondamente azzurro…….. Facciamo campo proprio in mezzo alle dune, riparati in una specie di catino naturale. Il capo carovana fa disporre i fuoristrada a ferro di cavallo, in modo di offrir riparo al punto in cui si accenderanno tra un po’ i fuochi per la cena. E’ il nostro primo campo tra le dune, siamo immersi nei cangianti colori delle sabbie al tramonto. Tutta un’altra cosa rispetto all’inospitalità del luogo di ieri. Ci gustiamo un’incredibile stellata, attendendo il sorgere della luna da dietro un’alta duna. Poi intraprendiamo una difficile scalata, illuminati dalle stelle e dalla luna. Stupenda è la sensazione sulla pelle dei finissimi granelli di questa sabbia fresca, nella quale in alcuni punti si affonda fino oltre le caviglie. E il lasciarsi cadere ansimanti sulla sabbia, che sensazione incredibile di libertà!. Serata memorabile, questa. Peccato che poi, nel corso della notte, si è levato ancora un fortissimo vento, tanto che i normali paletti della tenda non riuscivano ad ancorarla la suolo. Penso che siano stati i nostro corpi e i bagagli a fungere da zavorra e ad evitare il peggio. La tenda si piegava tanto da scendere sul corpo, e la violenza del vento produceva un inevitabile rumore il quale non è che propiziasse proprio il sonno….


Fonte: www. cisonostato.it

Marea nera,Bp:falla verso chiusura

La British Petroleum spera di chiudere il pozzo di petrolio da cui sgorga la marea nera del Golfo del Messico nel fine settimana grazie alla procedura "Top Kill". Lo ha detto il responsabile dell'exploration and production del colosso petrolifero britannico, Doug Suttles, durante una conferenza stampa. In pratica verranno iniettati nella falla dei fanghi che dovrebbero tappare la fuoriuscita del greggio.
Marea nera,Bp:falla verso chiusura

Grazie al tubo-siringa inserito nel pozzo "siamo riusciti ad aspirare oltre 1.000 barili di greggio e puntiamo ad incrementare il tasso a 2.000 barili - ha precisato Suttles - ma questa non è la soluzione definitiva: serve solo a limitare la fuoriuscita di petrolio, non è in grado di fermarla. Ora però siamo pronti per la procedura top kill che avvieremo nel fine settimana". Questa tecnica consiste essenzialmente nell'iniettare nel pozzo sostanze più pesanti dell'acqua e del petrolio ad una velocità tale da bloccare la fuoriuscita di idrocarburi.

Suttles ha definito "di successo" le ultime 36 ore di lotta alla fuoriuscita di petrolio che è stata contenuta come non era mai avvenuto da quanto è esplosa la piattaforma, lo scorso 20 aprile. Oltre al tubo-siringa inserito nel braccio flessibile del pozzo, "sta dando dei risultati anche la dispersione del greggio - ha evidenziato - grazie ai batteri mangia-petrolio che ne accelerano il naturale processo di decomposizione". Il Chief Operating Officer della BP ha poi precisato che la tecnica "top kill" non è stata ancora utilizzata solo perché bisognava prima raccogliere dati.

"Dovevano avere la certezza di non peggiorare la situazione - ha spiegato - e abbiamo prima raccolto tutta una serie di informazioni, a partire dal livello della pressione. Ora siamo pronti". Se l'operazione si rivelerà un successo, "il pozzo sarà definitivamente chiuso e non sarà mai più reso operativo", ha detto Suttles, assicurando che l'area continuerà ad essere monitorata ancora per molto tempo. Il petrolio aspirato grazie al siringone potrebbe invece venire commercializzato. "Dipenderà dalle sue condizioni - ha concluso Suttles - dovremo verificare se potrà essere raffinato".

Obama chiede una commissione d'inchiesta.

Barack Obama intende creare una commissione d'inchiesta presidenziali per appurare le cause dell'incidente della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, saltata in aria il 20 aprile scorso. La Casa Bianca vuole anche capire le ragioni per cui dopo quasi un mese non si è ancora riusciti a contenere la perdita di greggio nel Golfo del Messico. Lo ha riferito una fonte dell'amministrazione.

La commissione avrà una struttura simile a quelle create in passato per indagare su incidenti come la esplosione dello shuttle Challenger e quello avvenuto al reattore nucleare di Three Mile Island. L'inchiesta sarà ad ampio raggio ed includerà un esame dei meccanismi operativi della industria delle perforazioni offshore, della sicurezza delle piattaforme e la affidabilità delle ispezioni governative.

Fonte: www.mediaset.it

Iran, accordo con Brasile e Turchia sul nucleare

L'Iran ha raggiunto un accordo per lo scambio di combustibile nucleare con Brasile e Turchia. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, da Teheran, dove sono in corso i negoziati tra le autorità iraniane, il presidente brasiliano Lula, e il premier turco Erdogan. I due leader stanno cercando di trovare un accordo complessivo che sblocchi lo scambio ed eviti all'Iran una nuova tornata di sanzioni.
Iran, accordo sul nucleare

Secondo l'intesa originaria, siglata a Vienna il 1 ottobre scorso, Teheran avrebbe ceduto 1.200 kg di uranio arricchito al 3,5% in cambio di barre di combustibile raffinato al 20% processate prima in Russia e poi in Francia.

"Abbiamo raggiunto un accordo dopo 18 ore di trattative", ha spiegato Davutoglu ai giornalisti specificando che l'annuncio formale sarà dato lunedì dopo l'ultima revisione del documento da parte del presidente iraniano, Mahmoud Ahmdinejad, del brasiliano Lula e del turco Erdogan.

Fonte: www.mediaset.it

Marea nera,Bp:il sistema del cosiddetto tubo-siringa funziona bene

Al suo secondo tentativo, il sistema del cosiddetto tubo-siringa, inserito ad oltre 1.500 metri di profondità dalla Bp nella perdita del Golfo del Messico, sta "funzionando estremamente bene". Lo hanno reso noto fonti del gigante petrolifero britannico. La Bp ha annunciato che "oltre a pompare in superficie il greggio", tenterà di "iniettare fanghi pesanti nella falla per bloccarla permanentemente entro 7-10 giorni".

Contrariamente a quanto era stato indicato in un primo tempo, il siringone inserito nel braccio flessibile del pozzo, durante la notte tra sabato e domenica, ha permesso di portare in superficie una piccola quantità di greggio, e i tecnici ci stanno riprovando.

Lo indica a Robert, in Lousiana, il quartier generale delle operazioni di recupero dopo l'incidente alla piattaforma Deepwater Horizon, il 20 aprile, mentre un nuovo tentativo - il terzo - è attualmente in corso.

Durante la notte, indicano a Robert "alcune quantità di petrolio e di gas sono state recuperate. Il petrolio è stato stoccato a bordo del Discoverer Entreprise, la nave foratrice, a 1.500 metri dal pozzo, sulla superficie del mare, mentre il gas è stato bruciato grazie al sistema che si trova a bordo", una sorta di gigantesco accendino.

I responsabili del quartier generale delle operazioni confermano che ''il test è stato temporaneamente interrotto quando la siringa è fuoruscita dal tubo. Anche se si tratta di un fatto deludente, non è inatteso visto il carattere difficile dell'operazione. I tecnici hanno ispezionato nei minimi dettagli il sistema e hanno reinserito il dispositivo".

"Anche se non raccoglie tutto il petrolio, il dispositivo rappresenta un passo avanti importante nella riduzione delle quantità di petrolio che finiscono nelle acque del Golfo", concludono i responsabili del centro di Robert.

Fonte: www.mediaset.it

La più grande crisi nella storia moderna

Alla fine di una settimana che aveva visto diffondersi il panico sui mercati finanziari di tutto il mondo, Lyndon LaRouche ha aperto la conferenza dell'8 maggio, trasmessa in internet, annunciando che avrebbe parlato della crisi immediata e quindi della politica più a lungo termine necessaria per sviluppare l'economia fisica del mondo, ed oltre. "La prima parte è elementare, la seconda parte è scientifica".

Riferendosi all'emendamento per il ritorno a Glass-Steagall presentato al Senato USA alcuni giorni prima LaRouche l'ha definito "un progetto di legge promosso da un gruppo di leader repubblicani e democratici che si sono resi conto che la riforma finanziaria di Obama non passerà, che il disegno di legge (del Sen. Dodd, NdR) voluto da Obama verrà bloccato e che il Presidente fallirà. E questo sarà probabilmente il modo per porre fine alla sua Presidenza".

Non è una questione americana, ha aggiunto LaRouche, è tutto il sistema finanziario internazionale che sta cadendo a pezzi, il sistema che ruota intorno ai britannici ed al gruppo bancario Inter-Alpha. La loro "vittima principale, ufficialmente, è l'Euro. Tutte le nazioni che fanno parte dell'Euro sono il primo bersaglio del disastro… L'influsso più potente finanziariamente è l'Impero britannico, e ruota intorno al gruppo noto come gruppo Inter-Alpha, che ha varie estensioni, ed il cui potere risale ai pirati dei Caraibi". È li che si trova il quartier generale di coloro che oggi possiedono la Russia, finanziariamente.

Il tentativo di salvataggio della Grecia ha avuto un ritorno di fiamma ed ha provocato un "cambiamento d'umore" in Europa ed anche negli Stati Uniti. L'amministrazione Obama ed altri hanno esercitato pressioni per gli aiuti alla Grecia per cercare di impedire che esploda il sistema britannico a spese degli Stati Uniti. Ma "non tutti negli Stati Uniti sono stupidi o traditori". Tra i più intelligenti ci sono i Senatori John McCain, Maria Cantwell, Russ Feingold ecc. "che non hanno nessuna intenzione di stare a guardare mentre gli Stati Uniti vengono distrutti". Quindi hanno presentato un emendamento per stravolgere il senso della cosiddetta riforma finanziaria di Obama (il ddl Dodd). È un gruppo di persone decise che sanno che il sistema britannico sta per crollare e che se gli Stati Uniti non prenderanno le misure necessaria per difendersi, lo stesso accadrà agli Stati Uniti.

"Quindi, le persone dietro all'emendamento McCain-Cantwell non agiscono per conto del proprio partito, agiscono come patrioti. E coloro che si oppongono a loro non agiscono da patrioti!". Attualmente "abbiamo a che fare con un sistema che è basato sui soldi del Monopoli. Tutti questi derivati finanziari, queste somme ingenti, questi salvataggi bancari sono finti e fraudolenti!". Tornando a Glass-Steagall, ovvero la separazione tra banche commerciali e banche d'affari, "potremo cancellare i soldi del Monopoli. E difendere l'integrità dei debiti legittimi, come quelli che di solito si trovano nelle banche ordinarie".

Questo significa che molto banche dovranno essere chiuse, o almeno pagare le proprie perdite. Dopo aver buttato a mare i titoli tossici, bisognerà emettere una massa di credito federale per finanziarie le banche che sono state salvate, e per finanziare i progetti infrastrutturali necessari, come sistemi idrici.

Data la natura sistemica della crisi, ha spiegato LaRouche, il Partito Repubblicano e quello Democratico "dovranno riorganizzarsi orientandosi all'interesse nazionale, e superando le divisioni di partito….perché non sono più importanti per i cittadini".

Secondo LaRouche, negli Stati Uniti c'è "una maggioranza patriottica che cresce e si diffonde come un incendio, implicitamente irrefrenabile, e che sosterrà l'opposizione guidata da McCain e dalla Cantwell. Ci sarà presto un voto sulla Glass-Steagall, nel processo politico, o l'equivalente di un voto sulla Glass-Steagall… Siamo dunque nella posizione di poter cambiare la storia".

Tra le numerose domande istituzionali a LaRouche, è di rilievo quella di un membro del Senato che la scorsa settimana era a Londra per un incontro della London School of Economics, e a cena si è trovato vicino ad un esponente del Ministero delle Finanze britannico che ha detto senza mezzi termini: "Se gli Stati Uniti torneranno alla Glass-Steagall, noi lo considereremo un atto ostile".

Fonte: www.movisol.org

Ronaldinho e Pato salteranno il Mondiale

La notizia, nell'aria da tempo, ora è ufficiale: Ronaldinho e Pato salteranno il Mondiale. I due milanisti non sono infatti stati inseriti dal ct del Brasile, Carlos Dunga, nella lista dei 23 convocati per il Sudafrica. Oltre a loro, l'ex giocatore della Fiorentina ha escluso Adriano, protagonista di un buon campionato nel Flamengo. Regolarmente convocato, invece, l'ex milanista Ricardo Kakà, reduce da una stagione non esaltante al Real Madrid.

Alla fine non ci sono state sorprese. Un po' come Marcello Lippi, anche Dunga ha proseguito dritto per la sua strada. Il che, alla resa dei conti, vuol dire niente Mondiale per Ronaldinho e Pato. E d'altronde, non li convocava prima e non li convoca nemmeno adesso. A nulla, quindi, è servita al Gaucho l'ottima stagione con il Milan. Dinho ci sperava e ci ha provato fino all'ultimo. Dunga, però, gli ha preferito altri: da Nilmar a Grafite. Due che il ct verdeoro ha scelto anche al posto di Pato e Adriano.

Niente Gaucho, niente Pato e niente Adriano, uno che nel giro della Nazionale c'era eccome e che, in questa stagione, in Brasile ha fatto cose egregie. Lo stesso non si può dire, ad esempio, per Kakà, che però Dunga considera un punto fermo della sua squadra almeno al pari di Felipe Melo, altro giocatore reduce da un campionato non esaltante eppure regolarmente chiamato per i Mondiali. Tra gli esclusi ci sono, ma anche questo era prevedibile, Ronaldo e Diego.

DUNGA: "DINHO? HA AVUTO SUE OCCASIONI"
"Ho visto le liste che voi giornalisti avete fatto e ho notato che cambiavano di mese in mese. Io guardo quello che succede in campo, cosa fanno i giocatori nei club, ma mi concentro su ciò che può servire alla Seleçao e non mi baso sul rendimento di un periodo limitato". Carlos Dunga prova a spiegare le esclusioni eccellenti dalla lista dei 23 convocati per il Mondiale. Sarà un Brasile senza Adriano, Pato e Ronaldinho. A proposito di quest'ultimo, niente Sudafrica perché il ct verdeoro gli preferisce Robinho, titolare inamovibile che gioca proprio nel ruolo del fantasista rossonero. "Da tre anni mezzo sento dire che nessun allenatore ha schierato Ronaldinho nel suo ruolo, ovvero nella fascia sinistra dell'attacco, che non si adatta a giocare in mezzo - spiega Dunga - . Ha avuto le sue opportunità, si è giocato il posto con altri giocatori. La sua qualità è indiscutibile, ma devo prendere le mie decisioni in base a quello che succede in campo con i rispettivi club, ma soprattutto in Nazionale".

Questa la lista di Dunga:

Portieri: Julio Cesar (Inter), Doni (Roma), Heurelho Gomes (Tottenham)
Difensori: Maicon (Inter), Daniel Alves (Barcellona), Michel Bastos (Lione), Gilberto (Cruzeiro), Lucio (Inter), Juan (Roma), Luisao (Benfica), Thiago Silva (Milan)
Centrocampisti: Felipe Melo (Juventus), Gilberto Silva (Panathinaikos), Josuè (Wolfsburg), Kleberson (Flamengo), Kakà (Real Madrid), Ramires (Benfica), Elano (Galatasaray), Julio Baptista (Roma)
Attaccanti: Luis Fabiano (Siviglia), Robinho (Santos), Nilmar (Villarreal), Grafite (Wolfsburg)

Fonte: www.mediaset.it

Gran Bretagna ha un nuovo premier

Gb, David Cameron è nuovo premier
Formerà governo coalizione con LibDem

David Cameron è il nuovo primo ministro britannico. Il leader conservatore ha accettato l'incarico al termine dell'incontro con la regina Elisabetta e ha lasciato Buckingham Palace. Succede al laburista Gordon Brown e sarà alla guida di un governo di coalizione con i liberaldemocratici. Si tratterà di una "coalizione piena per un governo solido che affronti i problemi del Paese, primo fra tutti il deficit". Lo ha detto lui stesso da Downing Street.

Il nuovo primo ministro ha ammesso che governare in coalizione "presenta difficoltà", ma con i Libdem si può immediatamente iniziare a lavorare per affrontare i problemi del Paese.

Nel primo discorso da primo ministro davanti alla sua futura residenza ufficiale, al numero 10 di Downing Street, Cameron ha indicato alcuni dei principali obiettivi del suo governo: "Ricostruire la famiglia, ricostruire le comunità, ricostruire la responsabilità". Poi ha promesso onestà nell'azione di governo nell'affrontare i problemi - primo fra tutti il deficit - e ha reso omaggio al suo predecessore Gordon Brown "per il suo lungo servizio" e al Labour "grazie al quale la Gran Bretagna è più aperta al suo interno e più compassionevole all'estero".

Accompagnato dalla moglie Samantha, Cameron è stato accolto da una folla festante. Poi ha fatto l'ingresso da padrone di casa a Downing Street. Secondo quanto si apprende, i dettagli sui nomi dei ministri emergeranno solo giovedì.

I complimenti di Obama e Sarkozy
Il primo capo di stato straniero a chiamare David Cameron è stato Barack Obama. "Gli Stati Uniti non hanno un amico e un alleato più vicino della Gran Bretagna" ha affermato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama commentando la telefonata che ha avuto con il neopremier inglese. Le "più vere felicitazioni" poi sono arrivate dal presidente francese, Nicolas Sarkozy, che si augura "di poter lavorare con lui al rafforzamento della cooperazione e degli eccezionali legami intessuti tra Francia e Regno Unito".

La nomina di Cameron è avvenuta al termine di una giornata convulsa in cui sono naufragate le trattative tra i laburisti e i liberaldemocratici di Nick Clegg. Ne sono seguite le dimissioni del premier Gordon Brown.

Fonte: www.mediaset.it

Morto l'ungherese Andor Lilienthal, maestro nel gioco degli scacchi

E’ venuto a mancare, pochi giorni dopo il suo 99° compleanno, il grande maestro ungherese Andor Lilienthal, giocatore capace di battere Capablanca, Lasker, Euwe e Botvinnik, solo per fare qualche nome. Così si chiude un pezzo di storia degli scacchi, scompare l’ultimo giocatore vivente ad aver partecipato ai grandi tornei dell’anteguerra, come ad esempio Mosca del 1935 e del 1936, tornei che vedevano ai nastri di partenza Lasker, Capablanca, Botvinnik, Flohr, oppure Hastings 1933/34, dove divise il secondo premio con Alekhine.
Ancora nel dopoguerra Lilienthal era molto forte, come dimostra il sesto posto nell’interzonale del 1948, mentre tra i candidati, nel 1950, divise l’ultima posizione con Szabo e Flohr.
Nato a Mosca da genitori ungheresi, tornò in Ungheria all’età di due anni, ma rimase sempre molto legato alla Russia, partecipando a numerosi campionati sovietici con ottimi risultati. Per l’Ungheria partecipò a tre edizioni delle Olimpiadi, realizzando uno splendido 75% complessivo che gli diede ben due medaglie d’oro individuali.
Nel 1950 venne proclamato grande maestro dalla FIDE, e purtroppo con la sua scomparsa non rimangono più nomi di quella famosa lista.

Fonte: www.soloscacchi.altervista.org

Contro il parere della Casa Bianca, i democratici presentano il Glass-Steagall al Senato

L'economista Lyndon LaRouche ha da tempo indicato l'unica strada per uscire dal sempre più grave disastro finanziario/economico in cui ci troviamo: una reintroduzione globale della legge Glass-Steagall, separando le attività bancarie che riguardano gli investimenti nell'economia reale dalla speculazione finanziaria, e la creazione di un sistema creditizio e di cambi fissi tra le nazioni sovrane.

La reintroduzione di Glass-Steagall è ora all'ordine del giorno negli USA, grazie ad un emendamento alla riforma finanziaria attualmente discussa al Senato, proposto dai senatori Maria Cantwell (democratica dello stato di Washington) e John McCain (repubblicano dell'Arizona). La Casa Bianca si oppone all'emendamento, ma difficilmente riuscirà a bloccarlo. Grazie all'emendamento, la riforma finanziaria sarà radicalmente trasformata, e da arma spuntata diventerà un efficace strumento per una soluzione alla crisi.

L'emendamento Cantwell-McCain è firmato anche dai senatori Ted Kaufman, Tom Harkin e Russell Feingold. Nel loro comunicato, i presentatori affermano che esso ripristina il dispositivo della legge Glass-Steagall del 1933 che proteggeva i depositi impedendo che fossero usati nella speculazione di Wall Street. L'emendamento si basa sul precedente disegno di legge Cantwell-McCain presentato nel dicembre 2009.

"Una tale quantità di denaro dei contribuenti è stato dirottato nella speculazione di oscuri mercati, da impedire alle banche locali di finanziare le attività delle piccole imprese e creare quindi posti di lavoro", ha dichiarato la sen. Cantwell presentando l'emendamento.

"Non è un caso che il nostro settore finanziario sia deragliato completamente dopo che furono tolti i divieti della Glass-Steagall nel 1999", ha detto il sen. Harkin. "Consolidando la banca commerciale, la banca d'affari e l'assicurazione in una singola impresa finanziaria, gli istituti sono cresciuti talmente e diventati così intrecciati da essere troppo grandi per fallire. Per me è chiaro che tornare alle disposizioni dell'era Glass-Steagall aiuterà a por fine al problema del 'too big to fail' e ripristinerà l'ordine nel nostro settore finanziario".

Il comunicato prosegue spiegando che, "a cominciare dal 1933, la legge Glass-Steagall eresse un muro tra le banche commerciali e quelle d'affari per proteggere il denaro dei risparmiatori e impedire che fosse messo a rischio dalla speculazione di Wall Street. Per circa 60 anni, questa "muraglia" ha mantenuto l'integrità del sistema bancario americano; ma da quando fu eliminata, le banche hanno fuso l'attività ordinaria con il trading, usando le scappatoie nelle leggi per vendere ogni tipo di prodotti finanziari ai loro clienti. Nell'attuale sistema, quando queste megabanche falliscono il contribuente paga le perdite due volte.

Sotto l'emendamento, le grandi imprese finanziarie che attualmente gestiscono sia banche commerciali che banche d'affari dovranno decidere se concentrarsi sull'una o sull'altra attività. Nella maggior parte di questi istituti, le banche d'affari e quelle commerciali saranno profittevoli sia individualmente che per i loro azionisti. Separando le banche commerciali da quelle d'affari, l'emendamento pone fine alla speculazione con il denaro dei risparmiatori e riporterà gli investimenti a Main Street".

Fonte: www.movisol.org

Acque reflue, l'UE deferisce l'Italia e Spagna

I due paesi mediterranei considerati inadempienti a una direttiva del 1991 sono stati denunciati alla Corte di Giustizia dell'Unione.

Dopo ben nove anni di manifesta inadempienza alla normativa comunitaria la Commissione europea ha deferito l'Italia e la Spagna alla Corte di giustizia dell'Unione in merito al caso delle acque reflue. Il dato riscontrato dal commissario europeo per l'ambiente Janez Potocnik è quello della mancata dotazione da parte di Roma e Madrid di impianti di depurazione per le acque di scarico in diverse città e centri abitati.

Una lunga attesa. La direttiva ignorata, nel tempo, dai due governi è la numero 227 del 1991 con la quale Bruxelles vincola i Paesi membri a predisporre, entro il 31 dicembre del 2000, sistemi di trattamento delle acque reflue per i centri abitati con più di 15mila abitanti. A nove anni di distanza le carenze appurate in 178 comuni italiani e in 38 spagnoli sono ancora così palesi da aver obbligato l'organo di tutela degli interessi comunitari a mostrare i muscoli e a rimettere la questione nelle mani magistratura. "Le acque reflue urbane non trattate costituiscono sia un pericolo per la sanità pubblica sia la principale causa di inquinamento delle acque costiere e interne. - ha sostenuto Potonick - Non è accettabile che, più di otto anni dopo il termine stabilito, l'Italia e la Spagna non si siano ancora conformate a questa importante normativa. La Commissione non ha altra scelta se non portare i due casi innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea". E dire che di avvisi ne erano stati notificati diversi a entrambi i Paesi già dal 2004. Allora la Commissione trasmise una documentazione in cui veniva accertato che alcune città, italiane e spagnole, non avevano adempiuto alle disposizioni contenute nell'atto vincolante del 1991. Successivamente, dicembre 2008 per la Spagna e febbraio 2009 per l'Italia, da Bruxelles partirono altre due missive con le quali si fece presente ai due governi che le carenze permanevano. La situazione, neanche a dirlo, rimase, e rimane ancora, bloccata.

Centri a rischio. Nonostante le dichiarazioni d'intenti e i proclami sull'impegno globale per un pianeta più vivibile lanciati lo scorso dicembre dai pulpiti della Conferenza sul clima di Copenaghen, tanto l'Italia quanto la Spagna hanno dimostrato di non sentirci bene da quell'orecchio. Il provvedimento annunciato dal commissario sloveno ha di fatto relegato i due Paesi mediterranei a fanalini di coda per quanto riguarda tanto l'adeguamento agli standard comunitari quanto, il che è più grave, il rispetto delle politiche ambientali. Inoltre l'allarme colpirebbe località turistiche considerate fra le più belle d'Europa come, per l'Italia, Reggio Calabria, Caserta, Capri, Ischia, Messina, Palermo, San Remo, Albenga e Vicenza; e, per la Spagna, La Coruña, Santiago, Gijon e Benicarlo.
Gli abitanti di queste città, e gli escursionisti che periodicamente vi si recano, potrebbero trovarsi soggetti a virus provocati dalla mancanza di salvaguardia del territorio da parte delle istituzion. E, ancora, il patrimonio ambientale che rischia d'inquinarsi oltre misura. Basti pensare ai danni provocati da azoto e fosforo che se liberati in mare causano eutrofizzazione, ovvero un'ipercrescita di alghe che finisce per impedire lo sviluppo di altre forme di vita.

Un allarme vero e proprio che, lontano dai flash e dalle telecamere, diventa un "problema secondario". Che si strumentalizza in aspre bagarre televisive quando a provocarlo sono i camion della camorra o le navi delle grandi multinazionali del petrolio. Che si ignora, semplicemente, se a fomentarlo è l'immobilità di coloro che, invece, hanno il dovere, in quanto rappresentanti del popolo, di porvi rimedio.


Fonte: Antonio Marafioti, www.peacereporter.it

Russia, on-line le documentazioni 'top-secret' sulla strage di Katyn.

Il 5 marzo del 1940 a Stalin, allora segretario del Partito comunista dell'Unione Sovietica, bastò solo una sillaba per avvallare la morte di 22mila cittadini polacchi in quella che passò alla storia come la strage di Katyn.
Il dittatore l'appose in calce ad una relazione, top secret, redatta dal suo braccio destro e capo della polizia segreta (Nkvd) Lavrentij Berija il quale, dopo aver elencato dettagliatamente il numero dei prigionieri polacchi detenuti nelle prigioni occidentali di Ucraina e Bielorussia, consigliò ai membri del Politburò la loro eliminazione.

Dopo 70 anni. L'attuale presidente della Confederazione russa Dmitri Medvedev ha sostenuto che la pubblicazione dell'incartamento sul sito web dell'archivio nazionale rappresenta un atto "dovuto" verso il popolo polacco. La scelta politica, dicono in molti, è stata fatta per migliorare le relazioni bilaterali fra i due Paesi in un momento reso particolarmente teso dalla morte del presidente Lech Kaczynski, deceduto lo scorso 10 aprile in seguito ad un incidente aereo mentre rientrava in patria da Mosca dove si era recato proprio per le celebrazioni in ricordo della strage di Katyn. L'intera documentazione, conservata per anni negli archivi del partito comunista, era stata messa a disposizione del governo di Varsavia e dei ricercatori fin dal 1992. Oggi Mosca ha deciso di renderla pubblica per chiunque pur mantenendo un sostanziale riserbo sui restanti due terzi del protocollo (circa 116 faldoni su 182) che rimangono coperti ancora dal segreto di Stato. La vicenda fu usata fin dalla sua rivelazione tanto dalla propaganda nazista quanto da quella sovietica che si incolparono a vicenda delle esecuzioni. Durante la guerra gli alleati mantennero, pur conoscendo le responsabilità del Cremlino, un imbarazzante silenzio che durò fino al 1990 quando l'allora segretario della decaduta potenza sovietica, Michail Gorbacev ammise le colpe dell'armata rossa.

Al compagno Stalin. Si apre così la missiva di Berija all'"uomo di ferro" dei bolscevichi. In alto sulla destra il timbro top secret mentre sulla sinistra il simbolo e la sigla del Comitato centrale del Pcus. "Nei campi prigionieri di guerra gestiti dall'Nkvd - si legge nel rapporto - e nelle carceri occidentali in Ucraina e Bielorussia c'è attualmente un gran numero di ex ufficiali dell'esercito polacco, ex funzionari della polizia polacca e dei servizi di intelligence, membri dei partiti nazionalisti controrivoluzionari polacchi, membri di smascherate organizzazioni ribelli controrivoluzionarie, disertori e altri. Sono tutti nemici giurati del potere sovietico, pieni di odio verso il sistema sovietico". Diverse indagini condotte successivamente hanno stabilito che fra quegli "altri" a cui faceva riferimento Berija c'erano donne e bambini, probabilmente appartenenti alle famiglie dei militari polacchi. "I prigionieri di guerra detenuti nei campi - prosegue la missiva - stanno cercando di continuare il lavoro controrivoluzionario, e sono impegnati in agitazioni anti-sovietiche. Ciascuno di loro è in attesa del rilascio per essere in grado di impegnarsi attivamente nella lotta contro il dominio sovietico. Gli organi del Nkvd nelle regioni occidentali di Ucraina e Bielorussia, hanno rivelato una serie di organizzazioni di ribelli controrivoluzionari, in tutte queste organizzazioni hanno svolto un ruolo di primo piano ex ufficiali dell'ex esercito polacco, ex poliziotti e gendarmi. [...]"

Numeri di morte. Nella seconda parte del plico Berija elenca a Stalin quanti prigionieri erano detenuti nei campi e quale sarebbe stato il "trattamento" consigliabile. "Nei campi di prigionia ci sono (senza contare i soldati e sottufficiali) 14.736 ex ufficiali, funzionari, proprietari terrieri, polizia, gendarmi, carcerieri, colonizzatori e spie. Oltre il 97% di loro sono di nazionalità polacca". Poi, con un elenco asettico, Beria suddivide i prigionieri, migliaia, per grado e prigione di consegna. Al termine del freddo inventario di vite il boia del Partito passa alla soluzione: "Sulla base del fatto che essi sono risoluti e incorreggibili nemici delle autorità sovietiche - aggiunge il capo dell'intelligence - l'Nkvd ritiene necessario [...] considerare in modo speciale che si infligga loro la pena capitale, con un colpo alla testa". Ci sono voluti anni prima che la Russia convergesse sulle posizioni polacche nel considerare il massacro di Katyn un vero e proprio "genocidio". Per non mettere in dubbio quella che, alla luce delle rivelazioni, sembra essere ormai una certezza, basta citare l'ultimo sconvolgente passo della lettera di Beria: "I casi devono essere trattati senza che i detenuti siano citati in giudizio, senza rivelare loro le accuse, senza indicazioni relative alla conclusione delle indagini e i capi d'imputazione che pendono su di essi".

Quattro pagine in cui persone in carne ed ossa divennero numeri per poi trasformarsi in condannati a morte. Su di loro la morte arrivò con il consenso di Stalin,Voroshilov e Mikoyan che firmarono con la matita blu, quella degli errori gravi, di Kalinin e Kaganovich, a penna blu, e di Molotov che, più timidamente, scrisse il suo nome con un sottile tratto nero. La rapidità delle loro esecuzione fu pari alla pronuncia della parola "Tsa": a favore.

Fonte: Antonio Marafioti, peacereporter.it

Omicidi mirati condotto dai droni della Cia in Pakistan al centro delle polemiche

La presunta uccisione a metà gennaio del leader dei talebani pachistani, Hakimullah Mehsud, era stata usata dagli Stati Uniti per giustificare l'efficacia dei bombardamenti missilistici americani sui villaggi pachistani del Waziristan. Ora che il giovane emiro, con un video, ha dato prova di essere ancora vivo, il programma di omicidi mirati condotto dai droni della Cia in Pakistan torna al centro di aspre critiche. Critiche che in realtà non si sono mai sopite sia negli Stati Uniti che a livello internazionale.

Il 28 aprile il Congresso degli Stati Uniti ha tenuto un'audizione di esperti di diritto internazionale per approfondire i dubbi sulla legalità dell'uso dei droni in Pakistan.
David Glazier, docente della Scuola di legge di Loyola a Los Angeles, ha dichiarato davanti ai commissari che ''il personale Cia che controlla i droni corre il rischio di essere perseguito dalle leggi pachistane per crimini di guerra''. Mary Ellen O'Connell, docente di diritto dell'Università di Notre Dame, ha detto al Congresso che ''i droni sono armi da guerra capaci di infliggere gravi perdite, quindi non sono legalmente utilizzabili al di fuori di teatri di combattimento''.

Lo stesso giorno, l'Unione americana per le libertà civili (Aclu) ha inviato una lettera al presidente Obama, chiedendogli di sospendere la sua autorizzazione a un programma su cui gravano ''pesanti dubbi di costituzionalità e di rispetto dei diritti umani'', in quanto ''omicidi lungamente predeterminati e burocratizzati e chiaramente non limitati a obiettivi che costituiscono una reale minaccia imminente per la sicurezza degli Stati Uniti''.

Il rappresentante speciale dell'Onu per le esecuzioni sommarie, Philip Alston, da mesi attende dal governo Usa una risposta ai suoi rilievi: ''La Cia conduce un'operazione che sta uccidendo un gran numero di persone senza la minima giustificazione dal punto di vista del diritto internazionale''.

Fonte: peacereporter.it

Rivendicazione talebana per autobomba a New York disinnescata dalla polizia

L'attentato sventato a New York mediante autobomba sarebbe stato rivendicato da un talebano pachistano allo scopo di vendicare l'uccisione di due islamisti e 'martiri musulmani'. Lo si aprrende da un messaggio lasciato su sito islamico che al momento è al vaglio degli esperti dell FBI. In qualche modo trova conferma la dichiarazione del sindaco di New York Bloomberg che fin dal primo momento aveva parlato di attacco terroristico.
Un' autobomba a Time Square a New York City è stata disinnescata dagli artificieri della NYPD intorno alle 18.30 ora locale (mezzanotte e mezza in Italia) dopo aver evacuato tutta la zona. Il sindaco della grande mela Michael Bloomberg in conferenza stampa questa mattina ha dichiarato che se l'auto fosse esplosa avrebbe potuto provocare una strage e ha aggiunto: "non abbiamo idea di chi ha fatto questo e perché." ma "Siamo molto fortunati.Grazie alla segnalazione dei newyorkesi e la professionalità degli agenti di polizia, abbiamo evitato quello che potrebbe potuto essere un evento mortale".
Time Square a quell'ora infatti era particolarmente affollata essendo meta di turisti da tutto il mondo che affollano i teatri di Broadway e i rinomati ristoranti della grande mela.
La bomba montata sul SUV Nissan Pathfinder parcheggiato sulla 45ma strada, che secondo la portavoce della NYPD Ray Kelly era confezionata in modo artigianale e dilettantistica, è stata notata da un venditore ambulante di t-shirt che insospettito dal fumo che veniva su dai sedili posteriori e dal forte odore di polvere da sparo ha allertato un poliziotto a cavallo che ha subito dato l'allarme.
Nell'auto gli artificieri hanno rinvenuto serbatoi di propano liquido collegati a fuochi d'artificio di tipo commerciale e un sistema di temporizzazione.
L'elogio di Barack Obama: Il Presidente degli Stati Uniti ha personalmente elogiato il lavoro della Polizia di New York per la risposta all'emergenza svolta in modo rapido e professionale.

Fonte: www.italia-news.it

Fusione nucleare: l’alternativa troppo a lungo rimandata

Una tecnologia che offre vantaggi illimitati,
presenta una sfida tecnologica non indifferente
e richiede soprattutto una nuova volontà politica

La fusione nucleare presenta concrete prospettive per la risoluzione dei principali problemi energetici dell’economia mondiale, consentendole di entrare in una fase di rapida espansione.

All’inizio degli anni Settanta gli esperti del settore nucleare ritenevano molto ragionevolmente che nel giro di uno o massimo due decenni la fusione termonucleare avrebbe provveduto ovunque al fabbisogno di potenza elettrica e sarebbe stata ampiamente utilizzata anche nelle applicazioni industriali dirette. L’energia di fissione era considerata di conseguenza una soluzione transitoria, non tanto per i presunti rischi, quanto per i costi derivanti dalla sicurezza e dallo stoccaggio delle scorie. Il vero nucleare sarebbe dovuto essere la fusione, perché i grandi vantaggi tecnici ed economici che presenta sono evidenti. A quell’epoca Lyndon LaRouche costituì la Fondazione per l’Energia di Fusione, a cui aderirono ricercatori famosi, allo scopo di promuovere gli spunti più originali ed innovativi della ricerca ed in particolare favorire una fruttuosa coordinazione tra i diversi approcci, dato che alcuni dei problemi affrontati rappresentano una vera e propria sfida alle concezioni vigenti della fisica.

Mentre LaRouche proponeva di bruciare le tappe con un “programma d’urto”, la generale tendenza al post-industriale dell’ultimo trentennio ha decretato una costante riduzione dei fondi alla ricerca, relegando la fusione tra le curiosità delle fonti di energia alternative come l’eolica e la solare.

I vantaggi della fusione:

• È la forma più “concentrata” di energia che si conosca, e per questo motivo prospetta tutta una serie di nuove applicazioni dirette oltre alla produzione di potenza elettrica. (Prima tra tutte la propulsione spaziale).

• È l’energia più pulita che si conosca, non avendo scorie radioattive né dispersione termica apprezzabile

• È l’energia più sicura, in quanto ogni interferenza nel processo di fusione conduce inevitabilmente allo spegnimento della reazione

• Come tecnologia matura sarà realizzabile quasi ovunque giacché non dipende dalla disponibilità di materie prime: il suo “carburante” si estrae dall’acqua.

Come mostra lo schema, si tratta di costringere due atomi a fondersi l’uno con l’altro. La reazione produce un nuovo atomo più pesante di elio, l’emissione di una particella e lo sprigionamento di molta energia.

Affinché tale reazione possa aver luogo, occorre creare le condizioni in cui si vincono le enormi forze repulsive degli atomi: temperature di diversi milioni di gradi e un particolare stato di “confinamento”. Sono condizioni straordinarie che richiedono mezzi tecnologici qualitativamente nuovi. Le difficoltà principali della fusione si collocano qui, come rendere tecnicamente sfruttabile una reazione controllabilissima. La ricerca e lo sviluppo della fusione è un investimento nel futuro e per quanto i mezzi finanziari richiesti possano apparire ingenti la garanzia di copertura del futuro fabbisogno energetico e le innumerevoli ricadute tecnologiche garantiscono una indubbia economicità dell’impresa.

Storicamente le vie seguite dai ricercatori per creare le condizioni di fusione sono essenzialmente due: “il confinamento magnetico” e il “confinamento inerziale”. In passato sono stati seguiti diversi percorsi d’indagine, che hanno prodotto risultati ed esperienze interessanti, ma il continuo ridimensionamento dei finanziamenti non ha permesso di arrivare a dei veri e propri prototipi dimostrativi.

“Confinamento magnetico”, l’ITER

Oggi la ricerca sulla fusione si concentra essenzialmente su un progetto principale, l’International Thermonuclear Experimental Reactor, ITER, nel quale uniscono gli sforzi l’Unione Europea, il Canada, il Giappone e la Federazione Russa.

Il progetto risale al 1985. Fu presentato nel contesto dell’incontro al vertice tra Reagan e Gorbaciov in cui fu approvata la costruzione del primo reattore a fusione sperimentale secondo una proposta formulata dallo scienziato russo E.P. Velikhov. Successivamente l’Unione Europea, il Giappone ed in Canada furono invitati ad unirsi in questa impresa che raccoglie le esperienze degli scienziati di una quindicina di paesi nel campo dei plasmi ad alta temperatura e nell’ingegneristica dei reattori.

Il primo progetto, che si riproponeva degli obiettivi davvero ambiziosi, fu completato nel 1997 con un preventivo complessivo di 8 miliardi di dollari. Nel clima politico generalmente deciso a ridurre i bilanci per la ricerca la somma fu giudicata eccessiva e già l’anno successivo gli esperti avevano messo a punto un nuovo progetto di massima nel quale, pur rinunciando ad alcuni obiettivi del progetto, si prospettava di mettere a punto un reattore capace di generare centinaia di megawatt di potenza per un certo tempo, riducendo i costi del 40 o 50 per cento.

Il completamento della nuova progettazione ingegneristica esigeva una proroga, e le parti dovevano rinnovare i loro accordi per tre anni, dal 1998 al 2001, per avere il progetto definitivo da sottoporre all’approvazione per la costruzione.

Negli USA però il Ministero dell’Energia non riuscì ad ottenere lo stanziamento aggiuntivo di 12 milioni di dollari necessario per restare nel progetto ITER. Gli stanziamenti previsti si fermavano al 1998, e l’amministrazione Clinton non volle intervenire presso il Congresso affinché approvasse la proroga.

Gli altri partner dell’ITER dovettero quindi completare la progettazione del prototipo senza gli Stati Uniti sui quali però il Giappone ha continuato a fare pressioni affinché rientrino nel progetto.

Il 3 aprile 2001 la Commissione Atomica Giapponese ha approvato un documento ufficiale della Commissione Speciale dell’ITER dello stesso Giappone in cui si afferma: “Allo stato attuale è difficile stimare con precisione i costi complessivi per la realizzazione dell’energia di fusione. E soprattutto è pressoché impossibile stimare i profitti derivanti dalla realizzazione dell’energia di fusione. Si comprende però che l’investimento nello sviluppo dell’energia di fusione è considerato come una polizza assicurativa che garantisce un maggiore grado di libertà all’umanità nel futuro”.

Il 17 luglio 2001 la International Atomic Energy Agency (IAEA) ha ufficialmente sancito il completamento della progettazione dell’ITER in cui vede “una tappa decisiva nella ricerca per la fusione”. L’IAEA ha notato inoltre che l’ITER “sarà in grado di generare 500 megawatt di potenza di fusione per alcune centinaia di secondi”, e che potrebbe “condurre alla costruzione di un impianto dimostrativo per generare grandi quantità di elettricità”.

A questo punto resta solo da decidere, forse entro la fine del 2002, il paese che ospiterà questo reattore, il cui costo è stato stimato dal direttore del progetto Robert Aymar attorno ai 4 miliardi di dollari e la cui costruzione dovrebbe durare quattro anni.

“Confinamento inerziale”, la macchina-Z

Un metodo alternativo, quello del “confinamento inerziale”, prevede l’innesco di microesplosioni, dello stesso tipo della bomba all’idrogeno, i cui effetti sono contenuti nella camera di reazione. Le microesplosioni sono ripetute in successione, tanto frequentemente da dare un flusso continuo di energia. Il carburante è rappresentato da minuscole pillole, le “pellet”. L’innesco, dovuto ad una forte scarica di energia, deve avvenire tanto rapidamente da provocare le reazioni di fusione nella “pellet” prima che si frantumi in frammenti che volano via per inerzia o che il plasma che si produce possa disperdersi senza dare vita alle reazioni di fusione.

Le condizioni di innesco nella fusione a confinamento inerziale, hanno fatto dei rapidi progressi grazie allo sviluppo dei laser. Inoltre, sul piano politico questo tipo di ricerca gode del favore degli ambienti militari che preferiscono rinunciare ai costosissimi test atomici su scala reale e usare i risultati della ricerca in laboratorio per migliorare questo tipo di arma.

Anche se la parte più importante della ricerca è coperta dal segreto, gli sviluppi del settore sono notevoli. Nel 1978 si calcolava che per l’innesco di una “pellet” grande come un grano di pepe occorresse un laser di 100 Terawatt di potenza (da “somministrare” però solo per una durata inimmaginabilmente breve: 10 nanosecondi). I laser di allora erano ancora lontani da tale potenza. Oggi si calcola invece che la potenza necessaria per l’innesco sia maggiore, 500 Terawatt. Un sistema laser di tale potenza è attualmente in costruzione negli USA presso la National Ignition Facility (NIF).

A ciò si aggiungano i laser di potenza superiore ai 1000 Terawatt, la nuova generazione di laser dell’ultimo decennio. Si tratta dei cosiddetti “Petawatt Laser” (laser nell’ordine del milione di miliardi di watt di potenza). La scarica emessa dai Laser Petawatt è sì potentissima, ma dura solo un centesimo dei 10 Nanosecondi necessari. In ogni caso essi possono essere integrati come “rinforzo” al raggio laser principale ad alta potenza del reattore di fusione.

Una nuova prospettiva, molto promettente, è stata aperta dall’impiego dell’effetto pinch nella fusione a confinamento inerziale. L’idea di fondo è semplice e geniale. Il plasma è composto di particelle cariche negativamente e positivamente ed è quindi possibile farlo attraversare da corrente elettrica. Dato che una corrente elettrica genera un campo magnetico che l’avvolge, il campo magnetico prodotto dal plasma attraversato da corrente avvolge il plasma e lo “strizza”. Questo “strizzamento”, o “pinch”, comporta una maggiore concentrazione del flusso elettrico nel plasma che a sua volta induce un campo magnetico ancora più forte e quindi un “pinch” ancora maggiore, ecc.

All’idea si lavora al “Sandia National Laboratory” negli USA. I ricercatori del centro impiegano un Plasmapinch in una cavità per produrre i raggi X con cui bruciare la pellet. L’energia immessa viene concentrata in energia raggiante, che è almeno tre volte più efficiente dei laser ad alta potenza, un fattore di notevole importanza per le applicazioni economiche del reattore.

Nel laboratorio di Sandia, nel New Mexico, è stata messa a punto una “macchina Z”, capace di generare una scarica che può raggiungere i 20 milioni di Ampere. In tal modo sulla pellet vengono scaricati 290 terawatt di energia. Il pinch che si ottiene con i raggi X si è rivelato particolarmente stabile, tanto che i ricercatori sono convinti che si possa presto raggiungere una scarica della durata di alcuni nanosecondi, quando l’intensità di corrente si porta a 60 milioni di Ampere, ciò che occorre per raggiungere la “ignizione” della Fusione.

All’atto pratico sarebbe già possibile progettare questo esperimento di accensione, il cui costo complessivo è stimato nell’ordine dei 400 milioni di dollari. È meno di quanto possa sembrare: il costo complessivo del salto di generazione dei computer per il fatidico anno 2000 per l’economia americana è stato 250 volte maggiore.

Fonte: www.movisol.org

Fusione nucleare per secoli, senza aspettare (altri) decenni

Il laboratorio americano intitolato a Lawrence Livermore (LLNL), da decenni impegnato nella messa a punto della macchina per la produzione di reazioni di fusione nucleare per via inerziale (costruita presso il National Ignition Facility - NIF), sta anche studiando un modo per integrare nuovi impianti di fusione alle centrali di fissione già operative.

Nello scorso mese di maggio il ministero americano dell'energia (DoE) ha certificato l'avvenuto completamento della costruzione della macchina del NIF: sembra così a buon punto la sessantennale ricerca della via di produzione illimitata di energia, consistente nell'accendere una stella qui, sulla Terra, anziché, per esempio, accontentarsi di catturarne una insignificante quantità con i pannelli solari.

Benché debole nei confronti della superstizione intorno al riscaldamento climatico (ora rinominato "cambiamento"), la presentazione del progetto indica i due concetti chiave che informano anche la nostra dottrina economico-politica: "rifornire la Terra di energia senza limiti" e "incentrare l'attenzione del mondo intero sulla possibilità che la fusione per confinamento inerziale sia potenzialmente l'opzione energetica di lungo periodo".

Gli esperimenti veri e propri sono previsti per l'inizio dell'anno prossimo. Il NIF servirà appunto solo per provare definitivamente la possibilità della fusione a confinamento inerziale, e non produrrà energia utile.

Il processo fisico impiegato è quello che avrebbe potuto essere ottenuto con grande anticipo, se l'Iniziativa di Difesa Strategica (SDI, vedi il video americano) di Lyndon LaRouche fosse stata pienamente adottata dagli Stati Uniti degli anni Ottanta. Un piccolissimo bersaglio composto di deuterio e trizio (due isotopi dell'idrogeno), contenuti in una sferetta di un materiale a basso numero atomico, è sostenuto all'interno di una piccola cavità cilindrica vuota (hohlraum in tedesco), ed è bombardato con i raggi X che derivano dalla conversione della luce di potenti laser puntati sul bersaglio stesso. La grande quantità di energia fornita in piccolissimo tempo (cioè la grande potenza fornita), fa sì che lo strato confinante del bersaglio venga vaporizzato e si allontani rapidamente dal suo centro geometrico, facendo implodere verso quest'ultimo gli atomi di deuterio e di trizio, i quali raggiungono le distanze reciproche alle quali la fusione può avere luogo (in quel momento, infatti, contribuiscono ad una densità cento volte superiore a quella del piombo metallico e portano quel piccolo spazio ad una temperatura di 100 milioni di gradi centrigradi e ad una pressione di 100 miliardi di atmosfere).

Radiografia di un singolo bersaglio dalle pareti di carbonio ad alta densità: lo strato immediatamente interno è composto di deuterio e trizio. Il tutto è tenuto a bassissima temperatura.

Nella foto a sinistra un bersaglio dalle pareti in berillio. A destra alcune sferette in carbonio.
Il diametro delle sferette è di 2 mm.

Rappresentazione grafica del dispositivo di sostegno e raffreddamento dei bersagli.

Un litro d'acqua marina racchiude l'energia ottenibile da 300 litri di benzina, dieci litri d'acqua racchiudono quella ottenibile da due tonnellate di carbone.

La fabbricazione dei bersagli è una grossa sfida tecnologica, già in parte superata, che ha richiesto l'applicazione intensa del principio della macchina utensile, oltreché di nozioni biotecnologiche (in uno dei centri di ricerca che collaborano con il LLNL, i bersagli per il laser sono sospesi alla tela di ragno).

Questa fotografia illustra l'ispezione robotizzata della camera di fusione. La struttura a destra, a forma di grossa matita, è il sostegno, sulla cui punta, al centro della camera, è sostenuto il bersaglio di 2 mm di diametro. I fori circolari praticati sulla grande parete sferica accolgono le lenti di focalizzazione dei 192 fasci laser. Evidente è la necessità di mantenere una grandissima precisione costruttiva e operativa: "La fabbricazione dei bersagli [..] ha richiesto l'applicazione intensa del principio della macchina utensile".

Il secondo progetto di cui vi parliamo, battezzato con l'acronimo di LIFE (Laser Inertial Fusion Engine, in italiano Motore di Fusione Inerziale a Laser), promette di produrre una potenza elettrica nell'ordine dei GW (miliardi di watt) ogni giorno, per 50 anni, senza la necessità di rifornire il reattore con nuovo "combustibile" e minimizzando la produzione di residui di reazione. Le "scorie" nucleari attualmente immagazzinate e quelle prodotte in futuro, assieme ai materiali preparati per scopi bellici (plutonio, ecc.), proprio in virtù della loro radioattività residua (o di quella ancora inducibile per attivazione neutronica) potrebbero fornire una quantità di energia - afferma il LLNL - capace di soddisfare i bisogni energetici del mondo per centinaia o migliaia di anni, a patto di saperli sfruttare.

Il progetto, che si stima richiederà ancora una decina di anni di ricerca, promette addirittura di procedere con lo sfruttamento delle "scorie" senza necessità di attuare processi di separazione chimica. Per lo stesso motivo, non sarebbe necessario arricchire l'uranio da far fissionare. Richiedendo la metà dell'energia (sotto forma di laser) prevista per far operare una centrale di pura fusione, con il sistema LIFE si potrebbe produrre 200-300 volte l'energia fornita. Esso, infine, ridurrebbe la quantità di materiale da immagazzinare nei depositi speciali.

Come troppo spesso accade di questi tempi, occupate in tale progetto pochissime sono le persone: una quarantina di esperti vari. È pur vero che certe lungaggini sono fisiologiche, ma un esercito di scienziati forse accelererebbe i lavori, come abbiamo già proposto nel caso di ITER (vedi il nostro volantino).

Pensare, per esempio, di aspettare il 2030 per cominciare a costruire 15-20 centrali di tipo LIFE (che dovrebbero fornire un terzo dell'energia elettrica consumata dagli Stati Uniti) potrebbe rivelarsi un errore infantile, se sin d'ora ci liberassimo, in fretta, sfruttando proprio la crisi, dell'ideologia che premia il profitto a breve e l'usura, a scapito del meraviglioso lavoro dello scienziato e dell'ingegnere, forse quello che più può dirsi umano.

Fonte: www.movisol.org

Il NIF muove i primi passi (laser)

Presso il National Ignition Facility (NIF) costruito definitivamente nella primavera dello scorso anno gli scienziati del Lawrence Livermore National Laboratory hanno messo in funzione per la prima volta un complesso di laser ad alta potenza, con i quali hanno convogliato nel tempo di un miliardesimo di secondo un'energia superiore al milione di joule, nel centro della camera sferica in cui si ripromettono di realizzare la fusione nucleare per via "inerziale".

Per la prima volta è stata prodotta un'energia pari a circa 30 volte quella prodotta da qualunque altro gruppo di laser nel mondo. La luce prodotta ha raggiunto un picco di potenza pari a circa 500 volte quella usata di norma dagli Stati Uniti, anche se – come già detto – per una frazione estremamente piccola del secondo.

A livello teorico si era immaginato che il plasma prodotto entro il bersaglio avrebbe potuto ostacolare o perlomeno disturbare il processo di assorbimento dei quasi 200 fasci laser da parte dello stesso: le prime procedure di messa a punto del complesso apparato, invece, hanno dissipato ogni dubbio.

Il gruppo di ricerca guidato da Siegfried Glenzer ha scoperto che il plasma può essere condizionato in modo da aumentare addirittura l'uniformità con cui il plasma è compresso, dentro al bersaglio. Il gruppo ha impiegato allo scopo un'energia di 669.000 J, una quantità superiore ad ogni livello storicamente raggiunto, "venti volte più grande di qualunque altro impianto a laser", ha detto Glenzer, prima di dirsi sicuro che a taratura avvenuta la fusione sarà alle porte, cioè "avverrà entro quest'anno".

L'esperimento vero e proprio di fusione indotta dai laser, con un bersaglio di isotopi dell'idrogeno contenuti a bassissima temperatura entro una minutissima capsula, è previsto per la prossima estate.

Fonte: www.movisol.org

Portorico, indetto un referendum per l'indipendenza

La camera dei rappresentanti statunitense ha approvato una legge che consentirà al Portorico di decidere del suo futuro politico. Da quando si apprende dal sito dell'agenzia stampa missionaria Misna, i cittadini portoricani potranno scegliere del destino del loro paese tramite un referendum, che interrogherà la volontà popolare sul mantenere l'attuale status o modificarlo.

Attualmente il Portorico è uno stato libero ma è associato al governo di Washington, ha un rappresentante nel congresso Usa, che però non ha diritto ne di voto ne di parola. Le persone nate sull'isola sono cittadini statunitensi, ma non pagano le imposte federali e non avendo diritto al voto, non partecipano alla vita politica degli states.

Nel caso i portoricani si esprimessero a favore del cambiamento, le opzioni a cui si affaccerebbe l'isola sarebbero tre, diventare a tutti gli effetti il 51° stato degli Usa, ottenere l'indipendenza o acquisire una completa sovranità, pur restando in forti legami con la Casa Bianca. Già negli anni passati la popolazione dell'isola caraibica aveva votato per continuare ad essere uno Stato Libero Associato agli Usa, mantenendo così piena autonomia per quanto riguarda la politica interna, ma pregiudicandosi ogni relazione con altri stati.

Fonte: www.peacereporter.it
 
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