Da tempo, ormai, la dissidenza cubana è tornata in primapagina. Scioperi della fame portati all'estremo, manifestazioni delle Damas de Blanco e la comunità internazionale che si interroga su ciò che sta avvenendo hanno di fatto rianimato il discorso sui prigionieri di coscienza.
Qualcosa nella terra dei Castro si sta muovendo e la morte di Orlando Zapata potrebbe giocare un ruolo fondamentale per l'isola. Non solo. Quella che viene considerata la dissidenza interna ha fatto al governo una proposta: durante la prossima giornata elettorale che si svolgerà il 25 aprile, insieme alle schede per le comunali si inserisca una scheda nella quale si chiede alla popolazione se ritiene opportuno che tutti i cosiddetti prigionieri di coscienza vengano posti in libertà, che si liberino solo i malati oppure che non si liberi nessuno.
In caso dovesse essere accettata la richiesta posta dall'Agenda Para la Transacion Cubana, uno dei più importanti gruppo d'opposizione, Gullermo Fariñas porrà fine allo sciopero della fame che ha iniziato una quarantina di giorni fa.
L'amministrazione cubana fa quadrato intorno al presidente Raul Castro che dal canto suo colpevolizza Usa e Unione Europea . "Cuba non cederà al ricatto degli Stati Uniti e di alcuni paesi dell'Unione Europea, che con le loro opinioni appoggiano lo sciopero della fame che porta avanti Fariñas" ha detto il presidente cubano.
Nel frattempo Fariñas otterrà tutte le cure necessarie a scongiurare il peggio, considerando che nella sua vita ha già fatto una trentina di scioperi della fame e il suo fisico è piuttosto segnato.
C'è dell'altro. Nel caso venisse a mancare Fariñas sarebbero già pronti a prendere il suo posto altri dissidenti. Come Felix Bogne che ha già fatto spaere di essere disposto a arrivare fino ad estreme conclusioni pur di portare avanti la sua causa.
Ma questa volta sembra che l'affaire sia più grosso del solito. Anche la chiesa cattolica ha voluto esprimersi. Il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell'Havana, ha chiesto all'amministrazione dell'Havana di rivedere le posizioni e attuare una grande campagna di riforme che in questo momento sembrano essere urgenti. "Il nostro Paese sta vivendo una situazione molto difficile, certamente la più difficile vissuta nel 21esimo secolo. Tutti a Cuba pensano che siano necessari cambiamenti rapidi e credo che questa sia un'opinione diffusa a livello nazionale e i ritardi provocano impazienza e risentimento nella popolazione" ha detto il prelato. "Oggi - ha aggiunto Ortega - un dialogo fra Usa e Cuba è necessario". Ma se da un lato l'arcivescovo ha tentato di dare una spallata al governo cubano dall'altro si è sentito in dovere di dire bene le cose come stanno e ha criticato il presidente Usa Barack Obama per aver messo in atto le stesse azioni delle precedenti amministrazioni statunitensi chiedendo che il cambiamento della politica nazionale arrivi prima della revoca del bloqueo.
Fonte: Alessandro Grandi, peacereporter.it
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