ANALISI DEL RAPPORTO MUTSINZI SULL'ATTENTATO DEL 6 APRILE 1994
CONTRO L'AEREO PRESIDENZIALE RUANDESE
SOMMARIO:
Considerazione preliminare.
Introduzione.
Metodologia utilizzata.
Il contesto politico che precede l'attentato del 6 aprile 1994.
PRIMA PARTE: LE CIRCOSTANZE DEL PROGETTO DI ATTENTATO E DELLA SUA ESECUZIONE.
Rivelazioni prima dell'attentato contro il presidente Habyarimana.
Organizzazione e poste del vertice di Dar-es-Salaam (Tanzania).
La questione della scatola nera.
Lo svolgimento dell'attentato come riportato dai testimoni oculari.
Situazione del FPR al Consiglio Nazionale di Sviluppo (CND).
Le principali questioni relative all'abbattimento dell'aereo Falcon 50.
SECONDA PARTE: LE RESPONSABILITÀ.
Diverse ipotesi emesse sugli autori dell'attentato.
Elementi di prova dell'implicazione delle FAR e dell'Akazu nell'attentato.
Il possesso di missili da parte delle FAR e la loro capacità di utilizzarli.
Il luogo da cui sono stati tirati i missili .
Gli autori dell'attentato.
CONCLUSIONE.
Considerazione preliminare.
La Verità non è unica ed è una realtà dai molteplici risvolti. Bisogna constatare che è particolarmente difficile intravedere la verità relativa ai tragici avvenimenti del 1994 in Ruanda. Il presente documento vuole essere un contributo a tale difficile ricerca della verità.
Introduzione.
Il comitato Mutsinzi è stato creato per ordinanza del Primo Ministro ruandese il 16 aprile 2007, tredici anni dopo l'avvenimento su cui doveva indagare, ma solamente cinque mesi dopo l'uscita, il 17 novembre 2006, del rapporto dell'inchiesta del giudice francese Bruguière che attribuisce la responsabilità dell'attentato ai responsabili del Fronte Patriottico Rwandese (FPR). Datato al 20 aprile 2009, il rapporto del comitato è stato rimesso al governo ruandese il 7 maggio 2009. Un comunicato del consiglio dei ministri indica che sarebbe stato reso pubblico entro i prossimi giorni". Ma la sua pubblicazione è stata ritardata e non si può che esprimere una sola un'ipotesi sulle ragioni di questo ritardo. Infatti, nel novembre 2008, la citazione di Rose Kabuye, una delle nove persone citate nell'ordinanza del giudice Bruguière, davanti alla giustizia francese permette al Ruanda di avere accesso al dossier di istruzione ed è probabile che il rapporto Mutsinzi sia stato rivisto alla luce di certi elementi del dossier parigino. Dopo una lunga attesa, la rivista Continental Magazine approfitta di una fuga di informazioni e pubblica dei brani del rapporto nella sua edizione del 4 dicembre 2009, sette mesi dopo la consegna del testo. Il rapporto è disponibile su internet a partire dal 7 gennaio 2010, ma non è pubblicato ufficialmente dal governo che l'11 gennaio.
E' perlomeno difficile confermare la reale indipendenza del comitato, quando si sa che la sua designazione è stata sottomessa alla necessaria approvazione del capo dello stato, Paul Kagame, messo ufficialmente in causa da due giudici istruttori. Il comitato Mutsinzi si vanta della sua imparzialità, ma tutti i suoi membri sono anche membri del FPR e il suo presidente è uno dei
membri fondatori del FPR, ciò che lo rende giudice e parte. D'altra parte, si può constatare anche l'assenza totale di esperti internazionali in seno ad un comitato esclusivamente ruandese.
Metodologia utilizzata.
Numerosi esempi tratti dal rapporto dimostrano che il metodo usato dal comitato non è senza immune da serie riserve: il rapporto presenta dapprima delle ipotesi non provate o addirittura delle falsità, come dei fatti e l'accumulo di questi "fatti" permette poi di presentare la "verità".
Sin dall'inizio, il comitato parte dal postulato che le autorità ruandesi del dopo-genocidio non sono minimamente implicate nell'attentato del 6 aprile 1994 e che le accuse contrarie sono, quindi, di natura ideologica, proferite dai genocidari e i loro alleati. Secondo il rapporto",... le autorità ruandesi del dopo-genocidio, convinte che la loro non implicazione nell'attentato del 6 aprile 1994 costituisse un'evidente verità, forse non hanno ponderato l'impatto pregiudizievole delle accuse di natura ideologica proferite dai genocidari e i loro alleati… ". Se questa è la posizione di partenza del comitato Mutsinzi, si può ben temere che l'insieme degli elementi del suo rapporto sia già orientato, per dimostrare la pertinenza del suo postulato e non la realtà dei fatti.
Il comitato fa esattamente ciò che il regime ruandese rimprovera all'istruzione del giudice Bruguière, poiché conduce l'inchiesta a senso unico: dimostrare l'innocenza del FPR e la colpevolezza degli estremisti hutu, aiutati "un po'" da certi francesi.
Il rapporto della commissione Mutsinzi ha per oggetto quello di dimostrare che l'aereo del presidente Habyarimana non è stato abbattuto dal FPR, come ha concluso l'istruzione del giudice francese Bruguière, ma dai radicali hutu vicini alla principale vittima. Questo è molto chiaro fin dalle prime pagine e si conferma nell'insieme del rapporto, poiché l'inchiesta non va che in una sola direzione, quella degli estremisti hutu, mentre i dati che mettono in causa il FPR sono sistematicamente ignorati.
Il comitato dice di aver interrogato centinaia di testimoni (557), ma la credibilità delle loro dichiarazioni è soggetta a cauzione. Sentiti in un contesto di timore diffuso di essere arrestati o peggio, perché costantemente minacciati di perseguimenti giudiziari per il loro ruolo nel 1994 e sapendo molto bene ciò che coloro che sono al potere volevano sentire dir loro, le loro testimonianze non sono del tutto oggettive.
Il modo di consultare gli archivi del TIPR e delle inchieste giudiziarie sull'uccisione dei dieci militari belgi della MINUAR è unilaterale e solleva alcuni interrogativi.
Gli archivi del TIPR contengono gli atti di accusa, le posizioni del procuratore, quelle degli avvocati della difesa e degli imputati stessi e gli atti dei verdetti finali. Non è sicuro che il Comitato abbia consultato e confrontato tutte queste forme di informazione. Appare piuttosto che il comitato si è limitato essenzialmente al contenuto delle accuse, senza tenere conto né degli elementi portati dalla difesa, né delle informazioni apportate durante le deliberazioni davanti alla corte, né dei verdetti finali. La stessa osservazione vale per i documenti relativi all'inchiesta militare belga. Appare anche che il Comitato si è limitato a rilevare gli elementi che corrispondevano alla sua tesi favorita. I membri del comitato sembrano non tener conto nemmeno delle inchieste del Giudice francese Bruguière e del giudice spagnolo Morales, relazionandoli con i genocidari, ma senza portare le prove di un tale legame. Il Comitato non ha forse tenuto in conto le dichiarazioni del Generale Munyakazi condannato per genocidio da un tribunale militare ruandese e quelle di testimoni accusati di partecipazione al genocidio e ancora in prigione?
Il contesto politico che precede l'attentato del 6 aprile 1994.
Il comitato imputa l'intera responsabilità della degradazione del contesto politico al presidente
Habyarimana, ai suoi collaboratori e ad un nocciolo duro di politici e di militari opposti ad ogni democratizzazione del regime e più particolarmente agli accordi di pace di Arusha.
Tuttavia, si possono mettere in evidenza alcuni elementi che avrebbero dovuto essere presenti in questa parte del rapporto, in modo da presentare un contesto politico più conforme alla realtà.
1. I quattro attacchi condotti dal FPR (ottobre 1990, gennaio 1991, giugno 1992, febbraio 1993) sono passati semplicemente sotto silenzio.
2. Non una sola parola sulle centinaia di migliaia di persone sfollate, cacciate dalle loro colline dalle truppe del FPR e che che si trovavano accampate in miserabili condizioni alle porte di Kigali. Ci si può chiedere se questa strategia del terrore condotta dal FPR non si è poi ritorta in modo diretto contro i Tutsi dell'interno.
3. E' sottolineato il ruolo svolto da Radio Ruanda e dalla Radio Televisione Libera delle Mille colline (RTLM) nell'esacerbazione delle tensioni tra le comunità. Se questa realtà deve essere presa in seria considerazione, perché non una parola a proposito di Radio Muhabura, la stazione emittente del FPR e del discorso altrettanto radicale che essa veicolava?
4. A proposito dell'utilizzazione di concetti come "Akazu, squadroni della morte, rete Zero, AMASASU", presentati come delle realtà indiscutibili e prove irrefutabili della turpitudine del regime di allora, le numerose ore di udienze presso il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (TPIR) non hanno per nulla confermato la materialità di tali espressioni, utilizzate da anni come dogmi intangibili. Le dichiarazioni di parecchi testimoni che non avevano certo alcuna simpatia particolare per il cerchio presidenziale, mettono in evidenza l'esistenza di una vera strategia destinata a demonizzare il presidente Habyarimana. Questa strategia si rivolgeva tanto ai ruandesi che all'opinione pubblica internazionale.
5. Obiettivamente, il ritardo preso nell'applicazione degli Accordi di Arusha non può essere imputato solamente al Presidente Habyarimana e agli estremisti hutu, come affermato dal Comitato. Anche il FPR vi ha contribuito, intromettendosi nella gestione interna dei partiti politici per imporre loro le liste che gli sarebbero favorevoli, rifiutando di partecipare alle cerimonie di giuramento dei membri delle istituzioni di transizione, il 5/1/1994 e il 25/3/94.
PRIMA PARTE: LE CIRCOSTANZE DEL PROGETTO DI ATTENTATO E DELLA SUA ESECUZIONE.
Rivelazioni prima dell'attentato contro il presidente Habyarimana.
Il rapporto cita numerose testimonianze che vanno tutte nello stesso senso: l'attentato contro il Capo dello Stato per opera di estremisti ruandesi, politici e militari, era annunciato già da lungo tempo.
Mettiamo soprattutto in evidenza una realtà totalmente occultata dal comitato. In realtà, nel mese di marzo 1994, il nucleo duro degli estremisti hutu non aveva più nessuno interesse ad eliminare il presidente Habyarimana.
La visione che alcuni tentano di perpetuare è quella del rifiuto quasi isterico degli estremisti hutu rispetto ad ogni concessione nei confronti del FPR. Ma durante la seconda metà del mese di marzo 1994, l'orizzonte politico ruandese era cambiato positivamente. Sotto la direzione del nunzio apostolico, vari ambasciatori con sede a Kigali si è erano fortemente impegnati a trovare una soluzione ai due punti che facevano ancora da ostacolo all'istituzione del governo e del parlamento di transizione: la rappresentazione del Partito Liberale (PL) e l'integrazione della Coalizione per la Difesa della Repubblica (CDR) al processo di pace. Fine marzo, la CDR si era ufficialmente impegnata a rispettare le regole del gioco democratico, ma il FPR non ha voluto accettare la sua integrazione nelle istituzioni della transizione benché, secondo l'articolo 60 del protocollo del 9 gennaio 1995 sulla divisione del potere durante la transizione, non apparteneva al FPR designare o accettare i deputati o ministri regolarmente designati dai rappresentanti legali degli altri partì politici. L'ultimo tentativo di dare inizio alle istituzioni di transizione, il 25 marzo 1994, fu un fallimento, a causa dell'assenza dei rappresentanti del FPR alla cerimonia di giuramento dei ministri e parlamentari. È ciò che fece dire al rappresentante del Segretario Generale dell'Onu in Rwanda, Roger Booh Booh: "Sembra che il FPR tema finalmente la via democratica del processo di pace". Perché questo timore? Perché il FPR aveva capito, già da un certo tempo, che le elezioni che dovevano segnare la fine del periodo di transizione, fissato a 22 mesi, non avrebbero loro permesso di avere la leadership politica in Ruanda. Parallelamente, gli hutu estremisti e molti altri, sicuri della loro maggioranza, si erano arresi all'evidenza che avevano tutto da guadagnare nel lasciare il processo di pace seguire il suo sviluppo fino al suo termine. Nel mese di marzo 1994, non esisteva dunque più nessun motivo obiettivo (se ce ne fosse stato uno prima) per il quale il presidente Habyarimana fosse eliminato da coloro che il rapporto Mutsinzi designa come suoi assassini.
D'altra parte, non è stato ascoltato nessun testimone che implichi piuttosto il FPR nell'attentato. Tuttavia ne esistono molti. Jacques-Roger Booh Booh e Honoré Ngbanda, ex consigliere del presidente Mobutu, si sono infatti espressi sulle minacce di eliminazione del presidente Habyarimana proveniente dalle più alte autorità del FPR. Dopo l’assassinio di Emmanuel Gapyisi (maggio 1993) e di Félicien Gatabazi (febbraio 1994), numerosi osservatori si erano chiesti se la seguente vittima del FPR non sarebbe stata il presidente stesso. Circolavano infatti delle voci persistenti su possibili attacchi del FPR, per imporre la sua volontà nell'applicazione dell'accordo di Pace e il presidente Habyarimana temeva piuttosto la sua eliminazione da parte del FPR. Per questo, le consegne per la sicurezza del presidente prevedevano che l'aereo presidenziale non potesse volare dopo le 18h della sera.
Organizzazione e poste del vertice di Dar-es-Salaam (Tanzania).
Il comitato si interroga sulla partenza del generale Nsabimana per la Tanzania: secondo il rapporto, se il colonnello Bagosora stava preparando un colpo di stato in vista di un genocidio contro i Tutsi, non c'è nulla di illogico nel prendere due piccioni con una fava. Avrebbe così avuto le mani libere per applicare la "sua soluzione finale", senza più subire alcuna pressione, poiché il Capo dello Stato, Habyarimana e il capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Nsabimana, che non condividevano la sua visione delle cose, sarebbero morti nell'attentato.
In realtà, il colonnello Bagosora non ha avuto nessun ruolo nella designazione del generale Nsabimana. Quest'ultimo era stato informato della missione all'estero sin dal 29 marzo, data in cui ha iniziato le pratiche per l'ottenimento di un passaporto diplomatico. Inoltre, secondo Runyinya Barabwiriza, interrogato dal comitato, dato che il ministro della Difesa, in missione in Camerun, non poteva accompagnare il presidente a Dar-es-Salaam, è di comune accordo che la scelta è ricaduta sul capo di Stato Maggiore dell'esercito. Infine, Bagosora non aveva nessuna competenza per firmare gli ordini di missione per l'estero. Questa era la prerogativa del presidente Habyarimana che ha firmato il documento in questione.
Per la commissione, fa mistero anche il viaggio del segretario particolare del presidente Habyarimana, il colonnello Sagatwa, tuttavia considerato come facendo parte del campo Bagosora. Nemmeno lui avrebbe dunque sottoscritto al progetto di genocidio totale? La realtà è ben più semplice, poiché, in qualità di segretario particolare del presidente, il Colonnello Sagatwa accompagnava sempre il capo dello stato nei suoi spostamenti all'estero e non si comprende allora il dubbio da parte del comitato.
Il vertice regionale di Dar-es-Salaam fu organizzato per iniziativa del presidente Museveni. Questa paternità merita di essere menzionata, considerato il suo ruolo durante questa giornata e tenuto conto che questo aspetto non appare nel rapporto Mutsinzi.
Il 6 aprile, arrivato verso le 10h00, è solamente all'inizio del pomeriggio che la riunone comincia realmente. Secondo i testimoni, essa è incomprensibilmente tirata in lungo dal presidente Museveni. Con la conseguenza dell'impossibilità per il capo dello stato ruandese di ritornare a Kigali di giorno. Il decollo del Falcon 50 ebbe finalmente luogo verso le 19h30, quando il piano di volo iniziale, conosciuto dalle autorità tanzaniane, prevedeva un ritorno a Kigali per le 17h00, ciò che assicurava un margine necessario, in caso di piccolo ritardo, per essere di ritorno prima del crepuscolo, conformemente alle consegne di sicurezza. Una differenza di due ore e mezzo rispetto al timing iniziale suscita un interrogativo del tutto legittimo, soprattutto quando si sa che l'equipaggio del Falcon 50 temeva un attacco da parte del FPR. Non si può che constatare che il rapporto non porta nessun chiarimento in merito. Inoltre, quando a Dar-es-Salaam si ebbe la notizia dell'attentato, la delegazione ruandese che vi si trovava ancora fu disarmata e non fu autorizzata a ritornare in Ruanda, malgrado la presenza sul posto dei mezzi aerei necessari.
La questione della scatola nera.
Il rapporto affronta la questione dell'enigma della scatola nera. Il comitato vuole dimostrare che i militari francesi, il comandante de Saint Quentin in particolare, hanno ricuperato la scatola nera, ma nessun testimone dice se l'hanno effettivamente trovata e recuperata. La sola cosa che sembra non possa essere messa in dubbio è che sembra vero che l'aereo disponesse di una doppia scatola nera. Se è così, dove si trova e soprattutto dove sono i dati che vi si trovavano? Per il momento, ciò resta un mistero. Ogni inchiesta sull'attentato che voglia essere seria dovrà potere rispondere a queste due questioni.
Lo svolgimento dell'attentato come riportato dai testimoni oculari.
Il comitato presenta in solo quattro linee le testimonianze della popolazione residente sulle colline vicine al luogo dell'attentato, perché: "per mancanza di minime conoscenze tecniche, il loro racconto è poco chiaro sulla natura dei fenomeni osservati e talvolta addirittura inverosimili". Ed ecco, il gioco è fatto. Coloro che nel 1994 sono stati i primi a testimoniare che i missili sono stati lanciati vicino al luogo chiamato "La Ferme (La Fattoria)", situato nella valle tra la collina di Masaka e la strada verso Rwamagana-Kibungo, ora non sono più ritenuti abili a testimoniare. In realtà, il comitato non vuol evidentemente sentire parlare della valle di Masaka e vuole soprattutto dimostrare che i missili sono partiti dal campo militare di Kanombe o dai suoi dintorni immediati. Questa seconda zona si trovava, beninteso, sotto controllo delle FAR.
I "tecnici dell'aeroporto" e i "militari della guardia presidenziale presente all'aeroporto" non rivelano gran cosa. Alcuni parlano di due missili, altri ne menzionano tre. "I tiri si dirigevano di fronte all'aereo" (p. 62), "sembravano provenire da un livello più basso rispetto all'aeroporto" (p. 62), "sono arrivati da sotto l'aereo" (p. 63), "non sono saliti di fronte all'aereo o dietro, ma piuttosto dal suo lato sinistro" (p. 64).
Nemmeno la testimonianza dei caschi blu sembra portare prove più sicure. Il primo, il caporale Gerlache, si trovava sulla piattaforma della vecchia torre di controllo, ad un'altezza di circa sei metri e dice di avere "visto due punti luminosi partire dal suolo in un luogo localizzato nel campo militare di Kanombe". Il problema è che dal suo posto non era in grado di vedere il campo Kanombe, ciò che riconosce egli stesso quando precisa: "(…) da questo luogo, si potevano vedere tutte le piste, ma non il campo delle FAR, trovandosi quest'ultimo in un livello inferiore". Secondo ogni logica, se non è in grado di vedere il campo di Kanombe, non può vedere nemmeno "il punto luminoso" partire dal suolo all'interno del recinto del campo militare. Invece, quando dalla sua posizione guarda in direzione del campo, si trova precisamente nell'asse de "La Ferme". Se, su una mappa, si traccia una linea a partire dalla vecchia torre di controllo in direzione del campo di Kanombe, si arriva giusto a "La Ferme", luogo indicato dagli abitanti di Masaka.
Il secondo casco blu si trovava a 19 Km dal luogo da cui i missili sono stati tirati. Egli precisa, fra l'altro, che c'era un angolo di 70° tra la posizione dell'aereo e la traiettoria del missile. In base a ciò, il comitato conclude che quest'angolo corrisponde al campo militare di Kanombe, mentre il CEBOL ("La Ferme") corrisponderebbe ad un angolo di 30 gradi (p. 66). Non si può che lodare la presenza di spirito del testimone per essere riuscito a rilevare l'ampiezza di quest'angolo, ma ci si può chiedere anche come abbia proceduto. Faceva notte e, in quel momento, i punti di riferimento non esistevano più. Il testimone stesso riconosce testualmente: "Non ho mai visto l'aereo, perché il cielo era buio, erano circa le 20h00". Sulla base di questi dati minimi e contraddittorii, il comitato stima che "i tiri provenivano da un luogo vicino al sito dove l'aereo è esploso" (p. 70). Si noterà che il rapporto non dice "vicino al luogo dove l'aereo si è schiantato", cioè nei pressi del campo di Kanombe.
In realtà, nessuna delle testimonianze afferma in modo credibile che i missili sarebbero partiti dal campo militare di Kanombe, conclusione alla quale arriva tuttavia il comitato.
Dall'insieme delle testimonianze circa il luogo da cui i missili sono stati tirati, un elemento ha trattenuto la nostra attenzione, perché è stato citato in modo identico da numerosi testimoni. L'attentato contro l'aereo presidenziale ha scatenato immediatamente degli spari da parte dei militari che si trovavano all'aeroporto e al campo militare di Kanombe. Tutti gli spari erano diretti in direzione di Masaka. È dunque evidentemente che è in questa direzione che le cose sono successe e non a partire dal campo di Kanombe.
Situazione del FPR al Consiglio Nazionale di Sviluppo (CND).
Il comitato dettaglia innanzitutto il controllo esercitato dalla MINUAR sul distaccamento del FPR al CND e in occasione dei suoi spostamenti all'esterno, particolarmente durante le missioni di rifornimento di legna a Mulindi (quartiere generale del FPR), poi la sorveglianza più o meno discreta esercitata dalle FAR nei confronti del FPR e, infine, la situazione specifica del FPR al CND la sera dell'attentato e nei giorni seguenti, per concludere che le condizioni enumerate non permettevano al FPR né di trasportare armi o missili da Mulindi al CND, né di infiltrare un commando per abbattere l'aereo presidenziale. Il comitato stima infatti che "uno spostamento del FPR dal CND a Masaka non poteva essere realizzato all'insaputa della Minuar e dei servizi di informazione delle FAR" (p. 75).
Il comitato descrive tutte le procedure che avrebbero dovuto essere applicate nel quadro del protocollo di accordo relativo alla zona di consegna delle armi (KWSA), ma omette di dire che è con un'immensa cattiva volontà che il FPR vi si conformava. Come comandante del settore Kigali della MINUAR, incaricato di fare rispettare le "regole del gioco", il colonnello Luc Marchal può attestare che nulla era semplice nelle relazioni con il FPR. Affermare che nessuno poteva lasciare il CND è un'affermazione gratuita.
Verso la fine di marzo 1994, il comandante del distaccamento tunisino gli aveva mostrato varie brecce aperte nel muro di recinzione del CND. Le tracce rilevate dimostravano un'utilizzazione intensiva di questi punti di passaggio. Il colonnello Marchal cita altri esempi che dimostrano che il controllo effettuato dagli elementi del contingente Rutbat era tutt'al più simbolico. Per ciò che riguarda i trasporti di legna da Mulindi, i resoconti forniti dal responsabile della scorta armata facevano apparire che una volta sul posto, il camion su cui veniva caricato la legna sfuggiva, in un momento o nell'altro, al suo controllo. Il colonnello Luc Marchal non può fornire, evidentemente, nessuna prova materiale della vera finalità di questi trasporti di legna da Mulindi a Kigali. Ma la sua intima convinzione è che il FPR era completamente in grado di introdurre al CND dei missili terra-aria mediante queste viaggi quasi quotidiani tra Kigali e Mulindi.
Inoltre, le testimonianze sulla sorveglianza del CND da parte dei militari della guardia presidenziale parlano di una sorveglianza passiva, ma non di una sorveglianza che potesse operare delle operazioni di perquisizioni. Contrariamente alle affermazioni del comitato, i movimenti del FPR erano, dunque, tutto eccetto che realmente controllati.
Le principali questioni relative all'abbattimento dell'aereo Falcon 50.
La determinazione delle responsabilità nell'attentato contro l'aereo presidenziale suppone che si diano delle risposte alle questioni relative alla traiettoria di approccio dell'aereo in vista dell'atterraggio, il luogo in cui l'aereo è stato raggiunto dai proiettili, il luogo di caduta, il tipo di arma utilizzata e il luogo di tiro dei proiettili.
Non c'è molta materia di discussione circa la traiettoria di approccio dell'aereo.
Infatti, in seguito ai tiri antiaerei lanciati dal FPR su un C-130 belga che sorvolava il CND, l'8 gennaio 1994, era stata presa la decisione di non autorizzare più l'asse 100° della pista. Non restava dunque che l'asse 280°. Il rapporto afferma che "l'aereo non ha dunque sorvolato la collina di Masaka, come avanzato da certi autori" (p. 91). Ciò è evidente, ma il luogo detto "La Ferme" si trova, in effetti, tra questa collina e la strada verso Rwamagana-Kibungo.
Trattandosi dell'interdizione di sorvolo della zona del CND, la misura non era stata presa per la sicurezza del contingente del FPR al CND, come lo pretende il rapporto, ma per la sicurezza del traffico aereo.
Il comitato cita infine il libro del Professor Reyntjens, Ruanda. Tre giorni che hanno fatto ribaltare la storia, ma lo legge a contro senso. Il comitato rievoca uno schizzo in cui il prof. Reyntjens indica il "punto di impatto dell'aereo" e sembra pensare che il professore parli del luogo in cui l'aereo è stato toccato, mentre parla del luogo dove si è schiantato, cioè nel giardino della residenza presidenziale. Il comitato ne deduce che "il luogo in cui l'aereo è stato raggiunto dai missili non è ad una distanza significativa da questa residenza presidenziale" (p. 94). secondo il rapporto, l'aereo sarebbe dunque caduto a picco proprio nel momento in cui è stato colpito. Secondo il rapporto, questo è anche il parere della "maggior parte dei testimoni che abitano in particolare a Rusororo e a Masaka" (p. 94), le cui testimonianze sono state liquidate prima, perché non presentano un grande interesse". Se l'aereo fosse stato colpito all'altezza della residenza presidenziale, sarebbe stato allora impossibile che vi precipitasse quasi verticalmente. La distanza tra la residenza e gli inizi della pista riportata su una mappa dello Stato Maggiore su scala 1/50.000, è esattamente di 2.000 metri. Questo implica che l'aereo non solo volava ancora ad una certa altitudine, ma anche ad una velocità non trascurabile. In simili condizioni di volo, è certamente stato colpito molto prima di trovarsi all'altezza della residenza presidenziale.
SECONDA PARTE: LE RESPONSABILITÀ.
Diverse ipotesi emesse sugli autori dell'attentato.
Il comitato riprende le diverse ipotesi già conosciute:
- i militari belgi della MINUAR
- i militari ed oppositori burundesi
- il presidente Mobutu
- il FPR
- gli estremisti hutu
Nulla di nuovo rispetto a ciò che è già conosciuto. Rileviamo però che viene messo in rilievo tutto ciò che punta verso le FAR e, accessoriamente, verso la Francia, mentre le altre piste di ricerca sono liquidate molto velocemente.
Il rapporto studia dapprima il movente dell'attentato (p. 111-114).
In quanto all'incriminazione del FPR, trattata in sole due pagine dal comitato, si dovrebbe indagare sulla natura esatta della missione di scorta di un gruppo di membri del FPR effettuata dal tenente Lotin, il giorno stesso dell'attentato. Nessuna autorità abilitata della MINUAR aveva autorizzato questa missione, decisa, secondo le parole di Deus Kagiraneza, direttamente tra lui e il tenente Lotin. Questa scorta ha percorso più di 400 Km passando, all'andata e al ritorno, proprio vicino al luogo, La Ferme, ai piedi della collina di Masaka, da dove i missili sono stati molto verosimilmente tirati. E' stato un caso? La domanda resta.
La tesi che gli estremisti hutu volevano far fallire la messa in applicazione dell'accordo di Arusha attraverso l'eliminazione dal presidente Habyarimana è ragionevole, ma il rapporto non rileva evidentemente che il FPR, sapendo di non riuscire ad accedere al potere con le urne, poteva avere esattamente lo stesso movente. I testimoni citati non apportano niente di nuovo su questa questione.
Per ciò che riguarda l'ipotesi degli estremisti hutu, il comitato cita, in appoggio della sua tesi, l'atto di accusa contro il colonnello Bagosora da parte del procuratore del TPIR. Omette tuttavia di precisare che gli argomenti del procuratore, relativi alla pianificazione, non sono stati ritenuti dai giudici di questo stesso tribunale e che il colonnello Bagosora è stato, quindi, assolto dall'accusa di pianificazione di genocidio.
Elementi di prova dell'implicazione delle FAR e dell'Akazu nell'attentato.
- In quanto ai preparativi delle FAR in vista della ripresa della guerra rievocata dai testimoni militari belgi, sono conosciuti e innegabili, ma il FPR stava facendo la stessa cosa. Se alcuni testimoni dichiarano che, secondo le loro osservazioni, nel mese di marzo 1994 le FAR si stavano preparando ad una guerra, il comitato non avrebbe dovuto concludere tanto facilmente che si trattava di una preparazione dell'attentato contro il presidente, perché è possibile che le FAR si stessero premunendo semplicemente contro la minaccia di una ripresa della guerra proveniente dal FPR.
- Secondo diversi testimoni, la MINUAR si vide vietato l'accesso al campo militare di Kanombe a partire dal 5 aprile, mentre ai militari francesi non fu tolta tale autorizzazione (p. 121-124). Le testimonianze relative a questo brusco cambiamento di atteggiamento sembrano solide. Non riguardano però che i soli caschi blu belgi, mentre altri osservatori militari della MINUAR, installati permanentemente nel campo di Kanombe, non furono espulsi e hanno potuto proseguire il loro lavoro. Secondo il rapporto, questa misura avrebbe servito a nascondere uno spostamento di armi pesanti, in violazione delle regole della zona di consegna delle armi (KWSA - Kigali Weapons Secure Area). E' possibile, visto che le due parti (FAR e FPR) erano già pienamente impegnate nella logica di una ripresa della guerra, ma il rapporto non riesce a dimostrare il legame con l'attentato.
- E' la stessa cosa con "il controllo e la brusca modifica delle comunicazioni militari" (p. 124-127). Infatti, il cambiamento delle onde di frequenza non era eccezionale e il rapporto stesso afferma, del resto, che questo costituiva "una pratica iniziata dagli istruttori francesi dall'epoca dell'operazione Noroît, nel 1990, quando avevano constatato che il FPR poteva captare le loro comunicazioni". Queste tecniche non hanno nulla di speciale e il legame con l'attentato è, di nuovo, ipotetico.
- Il rapporto affronta anche la questione dell'evacuazione forzata del mercato di Mulindi, nei pressi di Kanombe, nella giornata del 6 aprile, da parte delle FAR. Il comitato si limita a formulare un'ipotesi: "Nella misura in cui le FAR avevano programmato l'attentato contro l'aereo del presidente Habyarimana, è molto probabile che non volessero la presenza di persone del posto nelle vicinanze del luogo in cui l'azione stava per realizzarsi" (p. 129). Però il mercato di Mulindi si trova dall'altro lato della strada verso Rwamagana-Kibungo ed è separato dal campo militare da una cresta di colline. Perché allora evacuare Mulindi, che non è tanto vicino al luogo in cui il comitato localizza la partenza dei missili, e non Kanombe e i suoi dintorni, che sono certamente meno lontani? Se si fosse voluto allontanare dei "testimoni imbarazzanti", sarebbe piuttosto dal lato del comune di Kanombe che lo si sarebbe fatto.
- Il dispiegamento della guardia presidenziale prima dell'attentato, il 6 aprile, non riveste un carattere diverso da quello degli altri giorni. Essa veniva infatti dispiegata sistematicamente tutti i giorni. Nella misura in cui il gruppo del presidente tardava a ritornare da Dar-es-Salaam, a causa dell'importante ritardo sull'orario previsto, è logico che la conseguente preoccupazione si sia concretata in uno dispiegamento forse più intenso che d'abitudine. Ma corrispondeva ad una situazione normale sul piano della sicurezza. È utile precisare che quando il capo dello stato ritornava dall'estero, il dispositivo di sicurezza era sempre più intenso. Tutti gli itinerari possibili venivano sottoposti al controllo della guardia presidenziale. Inoltre, anche la previsione di itinerari diversi faceva parte del dispositivo di sicurezza. La presenza del presidente burundese e di parte della sua delegazione a bordo del Falcon, è stata sicuramente presa in considerazione nell'apprezzamento globale della situazione. C'è da notare anche che, secondo le testimonianze di alcuni caschi blu, non citate nel rapporto, affermano che vari posti di controllo stabiliti nelle prime ore della sera erano poi stati tolti durante la notte.
Trattandosi delle azioni intraprese dalla guardia presidenziale dopo l'attentato, sono da tutti conosciute e non possono essere negate. Il comitato, però, non le considera come una reazione violenta in seguito alla scomparsa del presidente Habyarimana e del generale Nsabimana, tenuti da essa in alta considerazione.
- Se Bagosora avesse preparato un colpo di stato nella notte del 6 aprile 1994, avrebbe preso in considerazione ciò che sarebbe accaduto dopo il suo colpo. Al momento dell'attentato, non si trovava nemmeno al ministero della difesa, per essere pronto a dare ordini e direttive. Al suo piano di colpo di stato, non avrebbe accettato di partecipare insieme a certe persone considerate meno affidabili per il suo piano, come i militari che hanno assistito alla prima riunione di sicurezza, convocata peraltro urgentemente dal generale Ndindiliyimana. Non avrebbe neanche accettato che in quella riunione fossero presenti anche il generale Dallaire, il colonnello Luca Marchal e altri diplomatici stranieri.
Se Bagosora e compagni avessero organizzato realmente ed eseguito un colpo di stato, le cose sarebbero andate diversamente. L'insinuazione secondo cui "il tentato colpo di stato è fallito in seguito ai consigli che Bagosora ha ricevuto dai diplomatici occidentali e dai rappresentanti dell'ONU (…) ", sembra una conclusione incoerente: coloro che decidono di perpetrare un colpo di stato non si lasciano certamente influenzare dai pareri di persone che non hanno più nulla a che fare con la loro decisione. Le cose non sono andate come presentate dal rapporto, anche se il ruolo svolto da Bagosora rimane ancora pieno di numerose zone d'ombra.
- Il rifiuto opposto alla MINUAR di accedere al sito dell'attentato non implica necessariamente la volontà di nascondere il luogo dei tiri dei missili. La MINUAR non era considerata come neutra agli occhi delle FAR e viceversa. L'accesso preferenziale accordato ai militari francesi risulta invece dalla fiducia che le FAR avevano in essi, contrariamente alla MINUAR. D'altra parte, anche il FPR e la MINUAR diffidavano delle FAR e dei militari francesi (come dimostrato dall'atteggiamento del generale Dallaire, alla pagina 44 del rapporto, che rifiuta un'inchiesta condotta dai consiglieri militari belgi e francesi, accusandoli di parzialità). C'è da meravigliarsi se le FAR hanno impedito alla MINUAR di accedere al campo Kanombe e alla residenza del presidente, se si prendono in considerazione i sospetti reciproci che regnavano tra le FAR e la MINUAR?
Il possesso di missili da parte delle FAR e la loro capacità di utilizzarli.
- Le FAR disponevano di artiglieri antiaerei. Questi facevano parte del battaglione LAA (light anti aircraft e non lotta anti aerea) situato a Kanombe. Questo battaglione era attrezzato di cannoni 37 mm e di supporti per mitragliatrici 14.7 mm. Non c'è nessun mistero. Del resto, anche il battaglione di ricognizione possedeva dei missili terra-terra di tipo Milan. Qui si ferma l'esattezza del rapporto del comitato. Affermare che "i tecnici del battaglione LAA erano formati per l'utilizzazione dei missili terra-terra e terra-aria (…) ", è scambiare lucciole per lanterne. Questi due sistemi di armi sono completamente diversi ed esigono delle attitudini specifiche che non si possono certamente ritrovare in aiutanti militari sperimentati con un'esperienza di numerosi anni nell'esercito". Di più, le FAR non disponevano di un'infrastruttura di simulazione di tiro per missili.
- La sezione dedicata al "possesso dei lancia-missili e dei missili da parte delle FAR" (p. 147-155) riferisce di una lunga serie di ordinazioni di missili e di lancia-missili. Ma alla fine, il comitato non porta nessuna prova (distinte di consegna, fatture, transazioni bancarie) di una qualsiasi consegna di missili SAM. Tutti i documenti mostrano che, anche se ha voluto acquistarli, il Ruanda non aveva ricevuto alcun missile terra-aria, non certamente fino a febbraio 1992 e probabilmente nemmeno nel 1993. Il rapporto non dimostra che questi missili sarebbero stati ottenuti più tardi. In nessuna parte del rapporto, il Comitato riesce a dimostrare che questi missili siano stati consegnati. Anche il postulato relativo al possesso di missili da parte delle FAR è senza alcun fondamento.
Il comitato rileva anche che, in una corrispondenza del 22 maggio 1991, il rappresentante del ministero della Difesa all'ambasciata di Francia a Kigali, è scritto che "Lo stato maggiore dell'esercito ruandese è disposto a consegnare al rappresentante del ministero della Difesa un esemplare" (il testo continua così: "di arma terra-aria sovietica di tipo S.A.16 ricuperato sui ribelli il 18 maggio 1991, durante uno scontro nel Parco dell'Akagera") e ne deduce che "le FAR disponevano di vari missili di questo tipo, poiché erano pronte a consegnare ai francesi solamente 'un esemplare' " (p. 156-157). In realtà, era stata trovata un'arma sola. Del resto, in una nota del 23 maggio 1991, citata dal rapporto (p. 157), il generale Quesnot afferma che vario materiali era stato ricuperato sul campo, fra cui un missile portabile Sam 16". Nonostante tutto, il comitato conclude che tutto ciò "lascia chiaramente presagire che le FAR avevano ricuperato dal FPR parecchi missili nuovi SA16 e perciò, nel caso in cui questo recupero sia vero, esse ne avevano nel loro arsenale in aprile 1994" (p. 158).
Si possono fare ancora tre osservazioni a proposito di questo passaggio del rapporto:
(i) il missile recuperato non sarebbe stato di nessuna utilità per le FAR, poiché era difettoso;
(ii) il missile proviene dallo stesso lotto a cui appartengono i due apparentemente utilizzati nell'attentato e quelli repertoriati dalla missione di inchiesta parlamentare francese e in dotazione all'esercito ugandese;
(iii) se le FAR avessero posseduto tanti missili Sam 16, perché avrebbero fatto tanti sforzi, infruttuosi a quanto pare, per acquistarne dopo "averli trovati"?
D'altra parte, per dimostrare che il possesso dei missili da parte l'APR non è un fatto accertato, il comitato tenta immediatamente ("Falsa storia della scoperta di un missile nell'Akagera nel 1991", p. 158-159) di mostrare che le FAR non hanno potuto ricuperare nessun'arma dal FPR. Ma, in questo caso, l'affermazione che questo recupero (che non avrebbe avuto luogo dunque) ha permesso alle FAR di essere in possesso di Sam 16 risulta evidentemente priva di senso.
In realtà, due tubi lancia-missili sono stati raccolti a Masaka e fotografati e i loro numeri di serie sono stati rilevati dal Lt Ingegnere Munyaneza. Il giudice Jean Louis Bruguière ha seguito la traccia di questi due lancia missili fino in Russia, dove ha scoperto, con fattura alla mano, che questi due lancia missili facevano parte di un lotto di quaranta missili acquistati dall'Uganda che non ha, fino ad oggi, contestato questa affermazione. Non ha nemmeno indicato un altro luogo o altre circostanze in cui questi missili, che fanno parte del suo arsenale, sono stati tirati. Essendo la commissione a conoscenza dell'inchiesta di Bruguière, c'è da chiedersi perché non ha cercato di interrogare gli ugandesi, per sapere se loro stessi hanno utilizzato questi missili o se li hanno dati a qualcun altro che li ha utilizzati.
Il luogo da cui sono stati tirati i missili.
- Masaka-CEBOL.
Si tratta della zona da cui, secondo testimonianze concordanti raccolte nel 1994, sono stati tirati i missili che hanno abbattuto l'aereo presidenziale. Ma secondo il rapporto, i testimoni avanzano date diverse sulla scoperta di due tubi lancia-missili , "talmente distanti le une dalle altre che sembra trattarsi di una manipolazione e di una ulteriore messa in scena di una lunga serie di cui le FAR hanno abbondantemente abusato". Il comitato afferma che "la cosiddetta scoperta di armi al CEBOL pone una serie di problemi che permettono di dubitare dell'autenticità dei fatti."
Sarebbe stato molto scomodo per il comitato ammettere la scoperta dei tubi lancia-missili al CEBOL e di continuare a difendere la zona di Kanombe come luogo da cui i missili sono stati tirati. Il comitato afferma che l'esercito e la gendarmeria erano ben presenti nella zona di Kigali-Masaka-Kabuga e che, di conseguenza, era impossibile ogni tentativo di infiltrazione del FPR nella zona litigiosa. Tuttavia, l'infiltrazione di un commando verso il CEBOL non costituiva certamente per il FPR una missione impossibile. Il giorno seguente, il 7 aprile, si è infatti potuto constatare la sconcertante facilità con la quale il FPR ha introdotto battaglioni interi nella città di Kigali, malgrado le molteplici posizioni delle FAR che sbarravano gli assi stradali per impedire ogni infiltrazione verso la capitale.
- Dopo avere scartato La Fattoria come luogo da cui i missili sono stati lanciati, il comitato riprende una "ipotesi più plausibile" (p. 173), quella del campo militare di Kanombe o i suoi dintorni immediati. Sei testimoni, membri delle FAR, dichiarano che i tiri sono partiti “dal recinto della residenza presidenziale o da un luogo molto vicino ad essa” (p. 174); altri militari parlano dei “dintorni immediati del campo” (p. 177). Circa la credibilità dei testimoni, il rapporto riconosce che quelli ex FAR “hanno l’inconveniente di appartenere ad un esercito di cui molti membri sono stati i principali protagonisti del genocidio e dei massacri” (p. 181). Malgrado ciò, prende per oro colato il fatto che "localizzano il punto di partenza dei missili sia nella residenza presidenziale stessa o nei dintorni immediati del recinto di questa o del perimetro della proprietà presidenziale" (p. 181), senza porsi la minima domanda sul carattere strano di questa posizione di tiro, praticamente di fronte all'asse di approccio dell'aereo che si sarebbe schiantato logicamente sugli autori stessi dell'attentato (l'aereo si è effettivamente schiantato nel giardino della residenza presidenziale).
Come l'abbiamo già sottolineato, questi testimoni ex FAR sono in situazione molto difficile, poiché o sono in prigione, o accusati davanti alle giurisdizioni Gacaca o suscettibili di dovere rispondere del loro passato. In altre parole, tutti vivono nell'incertezza del loro futuro e dunque si trovano "sotto influenza". Tale situazione non impedisce al comitato di considerarli come perfettamente credibili. Inoltre, il comitato non ha interrogato nessuno dei testimoni oculari presenti all'interno della residenza presidenziale, né i membri della famiglia Habyarimana, né i militari del distaccamento della guardia presidenziale addetti alla vigilanza della residenza. Tutti questi testimoni hanno visto partire i missili dai dintorni di Masaka.
- Nel suo rapporto, la commissione ha concluso che il lancio dei missili è stato effettuato a partire dal campo Kanombe o nei dintorni della residenza del Presidente Habyarimana, ciò che, nei due casi, è impossibile:
1. il campo militare di Kanombe è situato tra la residenza di Habyarimana e l'aeroporto di Kanombe in cui doveva atterrare il Falcon presidenziale. Se i tiri fossero stati effettuati a partire dal campo militare, il punto di caduta dell'aereo dovrebbe trovarsi tra il campo stesso e l'aeroporto o, addirittura, sulla pista di atterraggio. L'aereo non poteva schiantarsi su un punto che aveva già superato.
2. una persona che si trova nel campo di Kanombe vede l'aereo che sta per atterrare all'aeroporto, una volta che esso ha superato la residenza di Habyarimana. Inoltre, i missili Sam 16 sono armi a tiro teso (diretto) ed è dunque impossibile tirare su un aereo che non si vede ancora.
3. questi missili vengono orientati verso i loro bersagli dal calore liberato dai motori dell'aereo. Tale calore si trova dietro l'aereo e il tiratore deve trovarsi almeno all'altezza o dietro l'aereo. Nel nostro caso il o i tiratori dovrebbero aspettare che il Falcon sia all'altezza del campo di Kanombe o l'avere superato. In realtà, si è schiantato prima di arrivarvi.
4. è pure impossibile avere lanciato i due missili a partire dal recinto della residenza presidenziale. Essendo la residenza presidenziale ad una distanza di 2 Km dall'inizio della pista, quando è passato sopra di essa, l'aereo doveva avere ancora una certa altitudine e una velocità conseguente. Poiché un aereo abbattuto non può precipitare verticalmente come una pietra, il punto di caduta dell'aereo dovrebbe trovarsi nei dintorni del campo militare di Kanombe od oltre.
5. La commissione si è servita di un rapporto di inchiesta del 01/08/1994 svolta dalla sotto sezione delle investigazioni della Forza Aerea belga che ha concluso che: "L'aereo si è schiantato in un bananeto ad Ovest. L'angolo di discesa doveva essere relativamente debole (Max 20°), vista la debole profondità del cratere in un terreno normale. L'aereo doveva avere un'inclinazione a sinistra ("ala destra e piano orizzontale destro intero, ala sinistra e piano orizzontale sinistro molto danneggiati) ". (Pagina 92 del rapporto Mutsinzi). Un debole angolo di 20° dimostra che il missile ha raggiunto l'aereo in una posizione ancora lontana dal suo punto di caduta, altrimenti l'angolo avrebbe dovuto approssimarsi ai 90°.
- Un altro punto del rapporto Mutsinzi che dimostra che il missile non ha raggiunto l'aereo al disopra della residenza presidenziale è alla pagina 58, quando Patrice Munyaneza, che era controllore alla torre di controllo la sera del 06 aprile 1994, ha detto alla commissione quanto segue: "Quando mi stavo preparando a comunicare col pilota per autorizzarlo ad atterrare, ho sentito un rumore di esplosione. Quando ho guardato nella direzione da cui proveniva l'aereo presidenziale, ho visto del fuoco di fronte all'aereo. Mi sono affrettato a chiamare il pilota, ma non rispondeva più". Questo è stato confermato alla pagina 59 del rapporto dal comandante di permanenza all'aeroporto in quel giorno, Cyprien Sindano, che ha riferito alla commissione: "Immediatamente, ho chiesto alla torre di controllo ciò che stava accadendo. Il controllore mi rispose che era in contatto col pilota per le indicazioni finali in vista dell'atterraggio, ma che aveva perso improvvisamente la comunicazione". ciò dimostra chiaramente che l'esplosione dell'aereo ha avuto luogo mentre il pilota chiedeva al controllore le istruzioni finali per l'atterraggio. Queste istruzioni vengono chieste quando il pilota passa al disopra della strumentazione che si trova a Kabuga, a sinistra del centro di Kabuga, direzione Kanombe, nei pressi del domicilio di Ntiyamira Jean Paul. Quando l'aereo passa al disopra dei questa strumentazione, automaticamente si accende una luce sul pannello di controllo dell'aereo stesso e, in quel momento, il pilota deve annunciare che arriva in finale, ciò che a fatto il pilota del Falcon. Ciò dimostra che l'esplosione ha avuto luogo qualche secondo dopo che l'aereo era passato su Kabuga, altrimenti Munyaneza avrebbe avuto il tempo di rispondere al pilota. L'aereo doveva trovarsi tra Kabuga e la collina di Kanombe.
- La maggior parte delle testimonianze concorda sul punto che i missili sono partiti dal lato sinistro dell'aereo. Anche il rapporto di inchiesta dei militari belgi della Forza Aerea lo conferma, dicendo che l'aereo ha toccato il suolo inclinato a sinistra e che il lato sinistro dell'aereo era quello più danneggiato. Nello spazio tra Kabuga e la collina di Kanombe l'aereo aveva alla sua sinistra la collina di Masaka, dove si trova la Fattoria detta CEBOL che altri inquirenti, a differenza della commissione Mutsinzi, designano come luogo di partenza del lancio dei missili che hanno abbattuto il Falcon presidenziale. I tiratori non dovevano trovarsi a Kanombe, ma piuttosto a Masaka.
Gli autori dell'attentato.
Circa gli autori dell'attentato, "avendo dimostrato" che i missili sono partiti dal campo militare di Kanombe o dalla residenza presidenziale, il rapporto conclude: "Inoltre, in questo periodo di estrema tensione, in seguito ai quattro anni di guerra tra il FPR e le FAR, è impossibile immaginare che degli elementi estranei alle forze armate ruandesi abbiano potuto infiltrarsi nel campo militare di Kanombe e a pochi metri di distanza dalla residenza presidenziale per commettervi l'attentato, quando sul luogo vi si trovavano le principali unità dell'esercito. Perciò, le forze armate ruandesi sono responsabili dell'attentato" (p. 182).
La commissione Mutsinzi designa gli estremisti delle FAR in generale come autori del lancio dei missili, ma senza nessuna altra precisione sulla identità di singole persone.
Il campo Kanombe ospitava più di sette unità militari diverse, ciascuna con il proprio comando, senza dipendere per le operazioni dal comandante del campo, ma direttamente dallo stato Maggiore dell'esercito. Come mandanti o responsabili dell'attentato, la commissione designa il Col. Bagosora, il Lt Col. Nsengiyumva, il Maggiore Ntabakuze, Maj Mpiranya e il Col. Muberuka, comandante del campo di Kanombe. Tra questi, non c'è che Ntabakuze che aveva la sua unità, il Battaglione Para commando, nel campo di Kanombe; Bagosora non aveva nessuna unità alle sue dipendenze e non poteva organizzare nessuna riunione con i militari di Kanombe; Nsengiyumva era comandante di una compagnia a Gisenyi; Mpiranya comandava la Guardia Presidenziale basata a Kimihurura; il Battaglione di Riconoscimento del Maggiore Nzuwonemeye, che la commissione tenta spesso di implicare, era stanziato al campo Kigali. A parte il maggiore Ntabakuze del Battaglione Para commando, la commissione non ha citato nessun comandante delle unità militari del campo di Kanombe, nemmeno il Comandante del Battaglione Anti - Aereo, il cui distaccamento che sorvegliava l'aeroporto era sospettato dalla commissione di detenere dei missili. Come si è potuto allora lanciare due missili dal campo di Kanombe senza essere visti e identificato dai militari di queste altre unità che non sono sospettate di essere implicate nel complotto contro il presidente Habyarimana?
CONCLUSIONE.
Terminata la lettura del rapporto, abbiamo l'impressione di avere preso conoscenza di una parodia di inchiesta, la cui sceneggiatura era già stata scritta in anticipo. In tutte le 186 pagine del documento, assistiamo ad una lunga requisitoria a senso unico, il cui unico obiettivo è quello di dimostrare la totale innocenza del FPR e la machiavellica colpevolezza degli estremisti hutu. Gli argomenti delicati, quelli che rischiavano di mettere in dubbio la sua "indipendenza", sono stati sistematicamente evitati. Le autorità ruandesi avevano rimproverato al giudice Bruguière di avere condotto l'istruzione solo nella direzione dell'accusa e tralasciando difesa, ma il comitato Mutsinzi non è riuscito a fare diversamente.
La tecnica utilizzata dai membri della commissione è costantemente la stessa: sulla base di valutazioni e di ipotesi, spesso basate su delle falsità patenti, avanza dei fatti e l'accumulo di questi "fatti" permette poi di arrivare ad una "verità."
Il rapporto Mutsinzi non affronta la questione dell'identificazione degli autori (poiché, secondo il rapporto, "tutti sapevano", ci si aspetterebbe di leggere almeno il nome di un indiziato) e non formula nessuna ipotesi concludente circa l'arma del delitto (la questione dei missili terra-aria).
Si tratta piuttosto di un rapporto politico ed opportunista di dubbia qualità e di manifesta manipolazione. E' imbarazzante per l'Africa che il presidente della Corte africana dei diritti dell'uomo e dei popoli, Jean Mutsinzi, abbia presieduto tale commedia.
Ciò che è successo il 6 aprile 1994, non è un semplice piccolo problema intra ruandese. Gli avvenimenti che hanno segnato la regione dei Grandi Laghi questi ultimi venti anni, dimostrano a sufficienza che le poste in gioco reali superano ampiamente il quadro delle frontiere del paese delle Mille Colline. I protagonisti del dramma ruandese sono conosciuti. Ignoriamo tuttavia tutto, almeno ufficialmente, circa coloro che tirano le file dietro le quinte e che sono corresponsabili del massacro di vari milioni di persone. Questa dimensione internazionale in cui si iscrive l'attentato che costò la vita a due Capi di Stato e ai loro collaboratori, è stata totalmente elusa dal comitato. Non possiamo che constatarlo con profonda delusione.
Dopo il rapporto della commissione Mucyo (Commissione nazionale indipendente incaricata di riunire le prove dell'implicazione dello stato francese nel genocidio perpetrato in Ruanda nel 1994), quell del comitato Mutsinzi è la seconda risposta ruandese nei confronti dell'istruzione Bruguière. È solamente attraverso il dibattito contraddittorio, proprio delle giurisdizioni giudiziarie, che la verità potrà essere conosciuta. Spetterebbe dunque alla giustizia deliberare, in Ruanda e in Francia, ma si teme che non si arriverà, almeno a breve scadenza, alla soluzione giudiziaria di questa questione, la cui l'importanza è tuttavia cruciale, poiché tutto sembra indicare che i due paesi interessati sono pronti a sacrificare cinicamente la giustizia sull'altare della politica. Il popolo ruandese merita qualcosa di meglio.
Numerosi sono coloro che da tanti anni aspettano semplicemente la Verità sui tragici avvenimenti del 1994. No, la Verità non esce vittoriosa da questo misero rapporto del comitato Mutsinzi. Solo un vero e libero dibattito, sicuramente difficile ma indispensabile, potrà permettere alla verità di manifestarsi.
Fonte:www.musabyimana.be
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